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Gheddafi: “Resto fino alla morte”

Il colonnello parla alla nazione dalla capitale libica: "Sono leader rivoluzionario, resterò a capo della rivoluzione fino alla morte". E ancora: "I manifestanti sono ratti mandati dai servizi segreti". Appello ai suoi sostenitori: "Uscite e andate a sterminarli". Accuse a Usa e Italia: "Da loro razzi per i dimostranti di Bengasi". La situazione è sempre più drammatica: secondo Al Jazeera sono ripresi i bombardamenti sui manifestanti che chiedono la fine del regime. Centinaia di morti nella sola Tripoli. Oggi ne discute il Consiglio di sicurezza dell'Onu. Eni: sospesa fornitura di gas attraverso Greenstream.

Libia, nuovi raid aerei su Tripoli
Dopo quella, fugace, di stanotte dalla caserma di Bab al Azizia, a Tripoli, Gheddafisi prepara ad una nuova apparizione sulla tv di Stato, proprio mentre giunge notizia che sono oltre mille i morti a Tripoli durante i bombardamenti sulla folla di manifestanti scesi in piazza per protestare contro il regime. A riferirlo è il presidente della Comunità del mondo arabo in Italia (Comai) Foad Aodi, che è in costante contatto, da Roma, con alcuni testimoni in Libia. «Manca l'energia elettrica e i medicinali negli ospedali», ha riferito ancora Aodi, che ha rivolto un appello al governo italiano affinchè si mobiliti «per un aiuto economico e con l'invio di medicinali in Libia.

Il governo non rimanga in coma, sordo e cieco, alla rivoluzione che è in atto in queste ore». I battaglioni della sicurezza, fedeli a Gheddafi, hanno nuovamente aperto il fuoco infatti contro i manifestanti a Tripoli. Le violenze sarebbero avvenute nel quartiere di Fashlun, alla periferia della città, che lunedì è stata obiettivo dei raid dei caccia militari libici insieme al sobborgo di Tajura. A Bengasi gli abitanti hanno preso il controllo della città. Lo riferisce Ahmad Bin Tahir, medico locale citato dalla Bbc: «Qui non c'è più la presenza dello Stato - ha detto - Non c'è polizia, non c'è esercito, non ci sono figure pubbliche. Il popolo si è organizzato in comitati per riportare l'ordine». 

Dopo la tragica giornata di massacri, 250 solo i morti dei raid di lunedì, la Libia si prepara a fare la conta. La conta dei morti. E la conta di chi è rimasto con Gheddafi. Secondo l'International Federation for Human Rights (Ifhr), sono circa una decina le città in mano agli insorti. Oltre a Bengasi, dice Ifhr, i ribelli hanno il controllo di Sirte e Torbruk, Misrata, Khoms, Tarhounah, Zenten, Al-Zawiya e Zouara. «Il regime di Muammar Gheddafi controlla solo Tripoli, in questo momento lo scontro è in corso solo in quella zona, dove i manifestanti vengono attaccati» ha detto Muhammad Abdellah, vice presidente del gruppo di opposizione.

 La pista dell'aeroporto di Bengasi è stata distrutta dai bombardamenti e gli aerei non possono decollare né atterrare, ne ha dato notizia il ministro degli Esteri egiziano. E mentre l'Egitto aumenta le guardie di frontiera, la Lega araba convoca una riunione straordinaria, a Nalut, pochi chilometri dalla Tunisia, i manifestanti hanno bloccato l'afflusso di gas verso l'Italia chiudendo il gasdotto che passa per la loro provincia. La minaccia, pubblicata sul sito Internet del gruppo di opposizione «17 febbraio», era rivolta «all'Unione Europea, e in particolare all'Italia. Con l'accusa di silenzio riguardo le stragi compiute da Gheddafi «la gente di Nalut», aveva annunciato la decisione di interrompere alla fonte l'afflusso di gas, chiudendo il giacimento di al-Wafa. «Per noi il sangue libico è più prezioso del petrolio o del gas», conclude il messaggio. Nel primissimo pomeriggio di martedì Eni conferma di aver chiuso il gasdotto di GreenStream: la condotta trasporta 9,2 miliardi di metri cubi di gas Roma. Sempre sul fronte energetico arriva la notizia, confermata da fonti del governo italiano, del blocco dei terminali libici del petrolio: «La situazione è preoccupante», dice la fonte.

 I flussi di gas importati attraverso il gasdotto Greenstream sarebbero rallentati già da lunedì sera. E la situazione «è in peggioramento» riporta laStaffetta Quotidiana, giornale specializzato sui temi dell'energia. Il sottosegretario allo Sviluppo economico con delega all'energia, Stefano Saglia tranquillizza. «L'attenzione resta alta», specifica ma rassicura sul gasdotto Transitgas, che porta in Italia il gas dal nord Europa: è tornato in funzione dopo l'interruzione della scorsa estate. Quindi, dice «ci sono stoccaggi non utilizzati. Non c'è motivo di preoccupazione». Il ministero ha comunque allertato il Comitato di sicurezza sulle forniture di gas ed è eventualmente pronto a utilizzare gli stoccaggi «ordinari e di sicurezza». «Per l'Italia non ci sono problemi di approvvigionamento di gas», ha detto Marlene Holzner, portavoce del commissario Ue all'Energia, Gunther Oettinger. «Dalla Libia arriva circa il 12% dell'approvvigionamento all'Italia, che è una quantità piccola sul totale. L'ammontare maggiore arriva dall'Algeria con il 33%, mentre dalla Russia arriva il 30% e dall'Olanda il 19%». La portavoce ha comunque sottolineato che «c'è una grande quantità di gas sul mercato e quindi ce n'è a sufficienza in caso ci fosse un'interruzione della fornitura di gas».

Si registrano le prime crepe tra i sostenitori di Gheddafi che ieri notte è apparso in tv per un brevissimo messaggio di 22 secondi dove ha affermato di essere ancora a Tripoli e di non credere alle notizie diffuse dai media in mano ai bastardi rognosi». Diversi militari e politici libici sono passati dalla parte dei manifestanti in seguito all'eccessivo uso della forza per reprimere i cortei. Mentre l'L'Egitto annuncia che sta rafforzando la presenza di truppe lungo il confine con la Libia. Obiettivi: rendere sicuro il confine egiziano e l'apertura del valico di Salum, il principale punto di passaggio sulla costa fra i due stati. In precedenza era stato aperto solo per poche ore al giorno, ora avrebbe il compito di lasciar passare i feriti. Secondo quanto annunciato due ospedali da campo sono già stati allestiti e nella zona sarebbero state aperte anche strutture per accogliere libici in fuga dalla patria.

 A Bengasi sarebbe atteso un C-130 dell'aeronautica militare italiana per rimpatriare i primi 100 italiani dalla città libica. Ma l'aeroporto è distrutto. Rispetto al rientro degli italiani altri due aerei di Alitalia dovrebbero partire alla volta della Libia. Tripoli ha, nel frattempo, autorizzato l'atterraggio degli aerei russi che rimpatrieranno i cittadini di questo paese residenti in Libia. Lo ha annunciato una telefonata dell'ambasciatore russo a Tripoli, Vladimir Chamov. Secondo precedenti informazioni diffuse dal ministero per le emergenze, sono 563 i russi che ancora si trovano in Libia, 204 dei quali dipendenti delle Ferrovie russe, impegnate nel progetto per l'alta velocità da Bengasi e Sirte. Intanto, da Mosca, il segretario del Partito Nazional democratico russo, Vladimir Zhirinovsky, in una dichiarazione pubblicata sul sito del suo partito si rivolge a Muammar Gheddafi. «Le suggerisco di fare di Mosca la sua residenza definitiva. La invito sinceramente come mio gradito ospite». Il governo turco sta, invece, organizzando il rimpatrio dei suoi cittadini con tre navi. «Ci sono 4.857 cittadini turchi a Bengasi e dintorni e le navi ne porteranno via circa 3mila, circa mille sono stati evacuati per via aerea», ha riferito il ministero degli Esteri turco Ahmet Davutoglu spiegando che i trasferimenti avverranno via mare dopo che non ha ottenuto i permessi per atterrare all'aeroporto di Bengasi. Il ministro ha detto anche che altri 10 Paesi hanno chiesto l'aiuto della Turchia per evacuare i propri cittadini, ma non ha specificato quali. La Anatolia news ha riferito che altre due navi potrebbero salpare oggi e domani.

 L'Alto commissario Onu per i diritti umani, signora Navi Pillay, ha chiesto un'inchiesta internazionale sulla repressione in corso contro i manifestanti anti-governativi in Libia: gli «attacchi sistematici e su larga scala», ha detto, «possono equivalere a crimini contro l'umanità». L'ex magistrato sudafricano ha citato in particolare il ricorso ad aerei da guerra, mitragliatrici pesanti e cecchini contro civili inermi. Ma Saif Gheddafi, il figlio del rais, nega i raid sui civili e precisa che l'aviazione militare è intervenuta solo per «bombardare depositi di armi lontani dalle aeree popolate». Noi stiamo solo attaccando, ha detto, «Nidi di terroristi». A supportarlo la tv di stato sostiene che nel paese non c'è stato alcun «massacro» e ha denunciato una strategia di disinformazione basata su «menzogne e semplici voci». «Dicono che vi siano stati massacri in diverse città e villaggi della Libia. Dobbiamo lottare contro queste menzogne e semplici voci che sono gli strumenti di una guerra psicologica» dice il sottotitolo che viene continuamente trasmesso su banda rossa sulla televisione Al-Jamahiriya. Queste informazioni, prosegue la scritta «vogliono distruggere il vostro morale, la vostra stabilità, le vostre ricchezze».

Il dittatore si mostra in Tv con un ombrello per ripararsi dal sangue

Nuovi attacchi aerei su Tripoli e mercenari che sparano sui civili. All'indomani della giornata sangue con oltre 250 morti per la repressione del regime alle proteste di piazza - massacri smentiti dalla televisione di stato - oggi Al Jazira riferisce
di nuovi raid dell'aviazione libica. La pista dell'aeroporto di Bengasi, nella Libia orientale, è stata completamente distrutta rendendo impossibile l'atterraggio degli aerei. Lo riporta Al Arabiya, citando fonti del ministero degli Esteri egiziano.

 La repressione delle proteste in corso in Libia ha portato alle dimissioni gli Ambasciatori libici di Stati Uniti, Nazioni Unite, Lega Araba, Australia, Indonesia, Malaysia, India, Cina e Bangladesh. Molti di loro hanno dichiarato di voler sostenere i manifestanti, chiedendo l'intervento della comunità internazionale contro quello che un diplomatico all'Onu ha definito un "genocidio".

L'Ambasciatore negli Usa, Ali Aujali, ha invitato il leader libico Muammar Gheddafi, a dimettersi, "per dare al popolo l'opportunità di forgiare il proprio futuro". Più dure le parole pronunciate dal vice-Ambasciatore libico presso le Nazioni Unite, Ibrahim Dabbashi: "Il tiranno Muammar Gheddafi ha ammesso pubblicamente, attraverso i suoi figli, quanto disprezzi la Libia e il popolo libico. Si tratta di fatto di una dichiarazione di guerra contro il popolo libico. Il regime di Gheddafi ha già iniziato il genocidio contro il popolo libico".

In Bangladesh si sono invece perse le tracce dell'Ambasciatore A. H. Elimam, che ha presentato le dimissioni la scorsa notte. Stando a quanto appreso dalla tv araba al Jazeera, il diplomatico si sentiva minacciato da un agente dell'intelligence presente in Ambasciata, originario dello stesso villaggio di Gheddafi. Lo stesso Elimam aveva ammesso di temere per la sicurezza della sua famiglia, in Libia.

Qualcuno grida allo scandalo per la tardiva presa di distanze di Silvio Berlusconi dal Colonnello Gheddafi accolto in pompa magna a Roma in occasione dell'ultima visita di Stato. Qualche altro ricorda Massimo D'Alema che aspettava fuori dalla tenda dello stesso Gheddafi a Villa Pamphili, nel giugno 2009, dopo che il rais aveva boicottato un incontro a Montecitorio. Nessuno può dimenticare che l'Italia è il primo importatore di petrolio libico e il terzo di gas. L'incertezza che grava sul regime libico apre interrogativi sul futuro delle relazioni fra Roma e Tripoli in un eventuale dopo Gheddafi.

 "La vera intesa è venuta con la Seconda Repubblica - dice uno dei protagonisti della Prima Repubblica, Gianni De Michelis, al Foglio - Cosa peraltro comprensibile per le motivazioni economiche ed energetiche, ma anche per quelle geopolitiche.

Non si deve giudicare negativamente. Però, si sarebbe dovuto capire da tempo che le situazioni di questi paesi non erano destinate a durare indefinitamente". E ora? C'è il timore che il ruolo svolto dall'Italia "possa finire molto male. Se il regime di Gheddafi cade precipitosamente, potremmo avere guai seri", dice l'ex ministro degli Esteri, che non ha dubbi: "Fra le rivolte che hanno segnato l'inizio dell'anno, quella libica è destinata ad avere un grande peso sugli affari italiani. Roma e Tripoli hanno un'intesa sull'immigrazione che è di importanza vitale per il Mediterraneo. Al tempo stesso, i due governi hanno accordi vantaggiosi nel settore petrolifero, che oggi coinvolgono anche altre società internazionali". 

Il leader libico Muammar Gheddafi è apparso ieri sera in televisione per pochi secondo, a smentire le voci che lo davano in fuga dalla Libia, sconvolta da giorni dalle proteste e da una violenta repressione. Niente Venezuela: "Vedrò i giovani in Piazza Verde. Per dimostrare che sono a Tripoli e non in Venezuela, e smentire le televisioni, questi cani", ha detto il colonnello, ripreso dalla televisione di stato libica nella sua residenza di Bab Al Aziziya, a Tripoli, in cappotto, mentre sale su un'automobile, con un ombrello in mano per proteggersi dalla pioggia, davanti alla sua residenza-caserma.

La tv di Stato smentisce questa mattina le voci di "massacri" nel paese anche se dal mondo arabo e dagli Stati Uniti si moltiplicano le voci di condanna per la sanguinosa repressione del regime del colonello. "Dicono che vi siano stati massacri in diverse città e villaggi della Libia. Dobbiamo lottare contro queste menzogne e semplici
voci che sono gli strumenti di una guerra psicologica" dice il sottotitolo che viene continuamente trasmesso su banda rossa sulla televisione Al-Jamahiriya. Queste informazioni, prosegue la scritta "vogliono distruggere il vostro morale, la vostra stabilità, le vostre ricchezze".

Il segretario di Stato Usa Clinton ha intimato al governo libico di mettere fine al "bagno di sangue" e la repressione libica è condannata con forza oggi
anche da Hamas e dall'Iran. "Condanniamo con forza la repressione organizzata dal regime del colonnello Gheddafi contro il proprio popolo... - dice Hamas - Il regime ha fatto intervenire l'aviazione contro la folla e noi invitiamo il popolo palestinese, i musulmani e gli arabi a condannare questi massacri".

Sulla stessa lunghezza d'onda la repubblica islamica iraniana. "Le violenze estreme utilizzate contro il popolo libico sono inaccettabili e noi le condanniamo", ha dichiarato Mehmanparast, portavoce del ministero degli esteri "Le notizie sui raid aerei compiuti contro dimostranti e quartieri residenziali e il massacro d' innocenti sono spiacevoli e sorprendenti, chiediamo alle organizzazioni internazionali di agire per fermarli".

In questa situazione, gli stranieri ancora in Libia cercano di lasciare il paese. Un C-130 dell'aeronautica militare italiana è pronto a partire per Bengasi alla scopo di rimpatriare i primi 100 italiani dalla città libica": lo ha confermato oggi il ministro della difesa, Ignazio La Russa, precisando che "l'aereo dovrebbe partire in mattinata e rientrare in giornata".

La repressione in corso in Libia ha causato nella sola giornata di ieri almeno 160 morti: è la stima avanzata dalla rete satellitare Al Arabiya, mentre Al Jazeera parla di almeno 250 vittime nei bombardamenti aerei sulla capitale. Ieri mattina l'organizzazione umanitaria Human Rights Watch aveva fornito un bilancio totale di 233 morti dall'inizio delle manifestazione: secondo la Federazione Internazionale della Lega per i Diritti umani (Fidh) tuttavia il numero delle vittime sarebbe compreso fra i 300 e 400.

Raid aereo sui manifestanti, "genocidio in corso".

Tripoli bombardata e centinaia di morti. Gronda sangue oggi la repressione del regime libico contro la rivolta, ad una settimana esatta dall'inizio delle manifestazioni di protesta con una drammatica svolta che tradisce però lo sgretolarsi del regime sotto il peso dell'insurrezione popolare, con voci di militari che passano dalla parte dei rivoltosi e le defezioni dei diplomatici a macchia d'olio. Anche Muammar Gheddafi, l'inossidabile rais che ha tenuto tutto in pugno per 42 anni, sembra per la prima volta cedere, date le insistenti voci di una sua fuga verso il Venezuela che oggi ritornano alla ribalta, ma sono di nuovo più volte smentite. Oggi il compound dove il colonnello vive a Tripoli secondo testimoni sembrava vuoto. 

Il colonnello non si vede da giorni ed è stato il figlio Seif al Islam a parlare ieri notte alla nazione: "lotteremo fino all'ultimo uomo e all'ultima donna", ha detto. Così oggi i caccia si sono alzati in volo e, ancor prima che la piazza verde fosse piena, che la marcia su Tripoli annunciata dai manifestanti fosse compiuta, hanno aperto il fuoco, uccidendo oltre 250 persone secondo al Jazira. 

La Tv libica tuttavia stasera ha mandato in onda altre dichiarazioni di Seif, che però non è comparso in video, che ha assicurato che l'aeronautica ha bombardato alcuni depositi di armi in zone periferiche e non zone urbane popolate di Tripoli e Bengasi. In precedenza la tv aveva annunciato la massiccia operazione delle forze di sicurezza contro "i covi di sabotatori e i terroristi", mostrando poi immagini di manifestazioni pro-Gheddafi sulla Piazza Verde, a ripetizione. 

Stamane gruppi di dimostranti pro e anti Gheddafi hanno seminato il panico in diverse zone della città, scontrandosi tra di loro e con le forze di sicurezza. E il palazzo del Congresso generale del popolo, la sede del parlamento, è stato parzialmente incendiato. 

La Libia è dunque in fiamme, tutta, da oggi brucia anche Tripoli dopo sei giorni di cruente battaglie nell'est del Paese, nella Cirenaica 'culla del dissenso' e nel suo capoluogo Bengasi. Restano difficili da verificare la informazioni che giungono dal Paese sempre bandito ai giornalisti, se non con l'ausilio di testimoni e dei molti dei cittadini stranieri già rientrati in patria, mentre a migliaia aspettano ancora di imbarcarsi sui voli da più parte messi a disposizione per lasciare la Libia, anche se da stasera a quanto pare lo spazio aereo di Tripoli e' stato chiuso fino a nuovo ordine. E le comunicazioni restano difficili, con ripetute segnalazioni di linee telefoniche interrotte e sistemi di trasmissione disturbati. 

Sono voci difficilmente verificabili anche quelle circolate questa mattina su un possibile colpo di stato da parte dei militari: fonti libiche hanno fatto sapere ad Al Jazira che all'interno dell'esercito vi sarebbero grandi tensioni, al punto da poter prevedere che il capo di stato maggiore aggiunto, El Mahdi El Arabi, possa dirigere un colpo di stato militare contro il colonnello Gheddafi. Poi il giornale Libia al-Youm che parla del capo di stato maggiore dell'esercito, Abu-Bakr Yunis Jabir, agli arresti domiciliari dopo essere passato dalla parte dei rivoltosi, sembra pero' confermare lo scollamento all'interno delle forze armate. Fino alla notizia, questa confermata nel pomeriggio, della diserzioni di due cacciabombardieri Mirage libici atterrati a Malta: i piloti libici a bordo hanno raggiunto l'isola senza il permesso delle autorità maltesi dopo essersi rifiutati di eseguire l'ordine di sparare sulla folla. 

Defezioni a macchia d'olio invece per i diplomatici libici nel mondo: dopo le dimissioni ieri dell'ambasciatore di Tripoli presso la Lega Araba, oggi ha lasciato la delegazione libica all'Onu e il numero due della missione Ibrahim Dabbashi ha invocato un intervento internazionale contro quello che ha definito "un genocidio". Ma anche diplomatici in Cina, Regno Unito Polonia, India, Indonesia, Svezia e Malta, hanno abbandonato la nave di Gheddafi: il chiaro segnale che se questa non sta affondando e' quantomeno alla deriva.