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Libia in rivolta, “Gheddafi ha lasciato”

La rivolta contro un potere che dura da più di 40 anni finisce nel sangue: si contano morti a decine. Il corrispondente di Al Jazeerada Tripoli - dove nella serata di domenica migliaia di persone si sono registrati si sono registrati scontri tra manifestanti vicini all'opposizione e sostenitori dell'attuale governo - ha affermato che Gheddafi avrebbe lasciato la Libia e si sarebbe rifugiato in Venezuela. La fonte della notizia, che non ha ancora ricevuto alcuna conferma ufficiale, è il segretario aggiunto dell'ambasciata libica a Pechino, Husein Sadeq al Misurati. Dall'inizio delle proteste il rais non è mai intervenuto pubblicamente per commentare. Attorno alla mezzanotte è invece intervenuto alla tv pubblica il figlio Saif, considerato il volto «riformista» del regime, che ha aperto la strada alla normalizzazione dei rapporti fra Tripoli e l'Occidente. Saif, che ha smentito la fuoriuscita del padre dal Paese («E' in Libia ed è supportato dall'esercito») ha ammesso che ci sono stati dei morti, ma ha smentito che siano nell'ordine delle centinaia come riferito dai media internazionali e ha derubricato le vittime a «errori» della polizia. Ha poi detto, precisando che la Libia non è l'Egitto e neppure la Tunisia, che è in atto un «complotto» contro la nazione da parte di un non meglio precisato «movimento separatista» e che «questi scontri possono portare alla guerra civile», mentre «i nostri fratelli arabi stanno guardando la Libia bruciare senza fare nulla».

Saif Gheddafi ha anche parlato di equipaggiamenti bellici, tra cui carri armati e pezzi di artiglieria, sottratti alle forze di sicurezza da parte di «civili e teppisti». E ha annunciato che le forze armate avranno un ruolo nel ristabilire l'ordine pubblico, paventando anche il rischio di un saccheggio delle risorse petrolifere e di un nuovo colonialismo da parte di Europa e Stati Uniti. Gheddafi jr ha ricordato la resistenza contro le truppe italiane che occuparono il Paese negli anni Quaranta e ha puntato sull'orgoglio nazionalista: «Siamo nati libici, moriremo libici». Ha poi annunciato che il Congresso generale del popolo, il parlamento libico, si riunirà per discutere «una serie di riforme». «Bisogna porre fine allo spargimento di sangue - ha ammonito - o non ci saranno riforme, non ci sarà democrazia, non ci sarà Costituzione». Ma in ogni caso, «combatteremo fino all'ultimo minuto, fino all'ultimo proiettile».

A Bengasi il bilancio tragico e comunque non ufficiale degli scontri del fine settimana è di oltre 280 vittime secondo fonti ospedaliere. La tv di Stato ha mostrato per tutto il giorno immagini di tranquillità nelle vie di Bengasi e Tripoli e affermato che il regime di Gheddafi non è in pericolo nè minacciato. Tuttavia un segnale che le cose non stiano proprio in questi termini arriva dalla notizia del rappresentante libico presso la Lega Araba che ha rassegnato le sue dimissioni affermando di essersi «unito alla rivoluzione». Un capo tribale libico, alla testa della tribù Al-Zuwayya, ha poi minacciato di bloccare l'esportazione di petrolio se il regime non fa cessare la «repressione dei manifestanti». In serata è arrivata anche la notizia di 3 mila persone nelle strade della capitale, dirette verso il palazzo presidenziale, dove si sono radunate anche le fazioni favorevoli al colonnello. E le agenzie di stampa hanno parlato anche di colpi di arma da fuoco. E proprio in questo clima Saif Gheddafi ha preso la parola alla tv di Stato.

Il volto duro del regime è stato in ogni caso mostrato anche all'esterno, nei confronti dell'Europa e, quindi, anche dell'Italia, il Paese Ue più vicino ed esposto. Con una vera e propria minaccia arrivata alla presidenza ungherese di turno della Ue : se l'Unione Europea non cesserà di sostenere le rivolte in corso nei Paesi del Nord Africa e in particolare in Libia, Tripoli cesserà ogni cooperazione con la Ue in materia di gestione dei flussi migratori. Ma nel tardo pomeriggio arriva dall'alto rappresentante della politica estera Ue, Catherine Ashton, un nuovo invito alle autorità libiche affinché siano fermate «subito» le violenze contro i manifestanti. E anche la Casa Bianca ha fatto sentire la propria voce: il portavoce del dipartimento di Stato, Philip Crowley, ha detto che l'amministrazione Obama segue «molto preoccupata» l'evolversi della situazione in Libia, e chiede ufficialmente che sia posta fine «a ogni violenza contro i manifestanti pacifici».

Il regime sta cercando di resistere alle proteste libertarie scoppiate sull'onda delle sollevazioni in Tunisia in Egitto e in altri Paesi del Nordafrica e nell'area del Golfo. Il leader libico ha reagito con la forza alle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, schierando reparti dell'esercito accanto alla polizia. Il bilancio degli scontri avvenuti sabato a Bengasi tra manifestanti e forze della sicurezza libica fedeli al regime sarebbe, secondo fonti mediche, di 285 morti e di 700 feriti. La tensione resta alta e proprio a Bengasi l'esercito, secondo quanto riferito da una testimone alla tv Al Jazeera, ha sparato razzi Rpg sui manifestanti. E non solo le adunate politiche sono a rischio. Almeno 12 persone sono state uccise sabato quando cecchini hanno sparato sulla folla che partecipava a un corteo funebre. Nella serata di domenica, membri di un'unità dell'esercito libico a Bengasi hanno detto ai manifestanti di essere passati dalla parte dei rivoltosi. La città è stata «liberata» dalle forze filogovernative, hanno affermato.

Intanto, le autorità libiche hanno spiegato di avere arrestato decine di cittadini arabi appartenenti a «un'organizzazione» che avrebbe come suo fine ultimo la destabilizzazione del Paese. Secondo l'agenzia ufficiale Jana, che cita fonti della sicurezza, «le persone arrestate sono state prelevate in alcuni villaggi libici» perché impegnati a compromettere «la stabilità della Libia, la sicurezza dei suoi cittadini e la loro unità nazionale». Si tratta di «cittadini di nazionalità tunisina, egiziana, sudanese, palestinese, siriana e turca». Un dimostrante a Bengasi ha riferito inoltre alla Bbc che anche alcuni soldati stanno passando «dalla parte della protesta», mentre qualcuno riferisce di una città quasi «fantasma» con le forze di sicurezza ritiratesi nella cittadella fortificata, noto come il Centro di Comando, da dove «sparano i cecchini». E, secondo la tv araba Al Jazeera, sabato alcuni aerei da trasporto militari carichi di armi per la polizia sono atterrati in un aeroporto a sud di Bengasi. Forze speciali sarebbero inoltre pronte ad agire, pensate e organizzate per una lotta senza confini: l'obiettivo è annientare la protesta e per farlo, spiega un oppositore, si reclutano «unità militari di origine africana, che non hanno legami tribali e sulle quali si può quindi contare per una letale campagna di repressione».

Sul fronte diplomatico il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha informato il segretario di Stato Usa, Hillary Clinton, sui tentativi di mediazione tra istituzioni e oppositori in Cirenaica condotti dal ministro degli Interni della Libia per favorire una soluzione pacifica. La Farnesina ha intanto diramato un comunicato per «sconsigliare tassativamente qualsiasi viaggio non essenziale» nella regione della Cirenaica e in particolare a Bengasi, Ajdabya, Al Marj, Al Beida, Derna e Tobruk. Cresce comunque l'allarme in Europa per la situazione in Libia. L'Austria ha annunciato oggi l'invio di un aereo militare a Malta per un'eventuale evacuazione di suoi cittadini e altri europei dalla Libia o altri Paesi arabi scossi da rivolte.