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Libia in rivolta: 285 morti a Bengasi

Sarebbe enorme il bilancio dei morti causato dalla brutale reppressione dei mercenari di Gheddafi, e eHuman Rights Watch, l'organizzazione per la difesa dei diritti umani basata a New York, conferma e da abbondantemente oltre i 100 il numero di morti registrati a Bengasi in quattro giorni di scontri fra manifestanti anti-regime e forze di sicurezza, le cifre riferite da fonti giornalistiche sono ancora più allarmanti. Il sito del quotidiano britannico Independent segnala la circolazione di "altre informazioni", secondo cui ci sono "200 morti e più di mille feriti": lo riferisce al quotidiano un testimone, Ahmed Swelim, il cui cugino lavora in ospedale. E fonti mediche dell'ospedale di al-Jala di Bengasi hanno riferito alla tv araba al Jazeera che i morti sono 258 e oltre 700 i feriti. Lo ha detto il medico Nabil al-Saaiti, che, in un collegamento telefonico con l'emittente qatariota, spiegando che "ieri agenti della sicurezza di origine africana reclutati dal regime hanno aperto il fuoco contro i manifestanti e il numero dei morti è tale che non riusciamo a metterli tutti nella camera mortuaria dell'ospedale per identificarli".

Sempre secondo Al Jazeera, l'esercito oggi sta sparando razzi Rpg sui manifestanti a Bengasi. Attraverso il sito Lybia Al Youm, gli ospedali hanno lanciato un appello perché dicono di non essere più in grado di gestire i feriti che stanno affluendo. Occorrono medici, sangue, attrezzature e se possibile, l'allestimento di ospedali da campo.

Il precedente bilancio di Human Rights Watch, riferito a tre giornate, era di 84 morti, modificato al rialzo dopo che nella città libica ieri sono state uccise almeno altre 20 persone. L'organizzazione precisa di aver formulato la stima, definita "cauta", contattando testimoni e responsabili di ospedali. Il governo libico non ha fornito alcuna cifra nè formulato commenti ufficiali sulle violenze.

Il Paese del colonnello Muammar Gheddafi è in preda ad una contestazione senza precedenti contro un potere che dura da più di 40 anni e sta cercando di resistere alle proteste libertarie scoppiate sull'onda delle rivolte in Tunisia ed Egitto. Il leader libico ha reagito con la forza alle manifestazioni di protesta degli ultimi giorni, schierando la polizia in forze. A Bengasi, ieri diverse persone sono rimaste uccise - almeno 20 secondo le ultime cifre diffuse - in scontri tra dimostranti anti-regime e soldati, ha riferito il quotidiano Quryna vicino a uno dei figli del colonnello, Seif el-islam Gheddafi. Cecchini hanno sparato sulla folla che partecipava a un corteo funebre. Ed è stata una notte di scontri anche a Tripoli, ma al momento non è chiaro se vi siano state vittime.

Un gruppo di "estremisti islamici" ha preso oggi in ostaggio poliziotti e civili nell'est della Libia, ha reso noto un alto esponente libico. Il sequestro ha avuto luogo ad Al Baida. "Un gruppo di estremisti islamici, che si fa chiamare 'emirato islamico di Barka', tiene in ostaggio dei membri del servizio di sicurezza e alcuni cittadini", ha detto il responsabile libico, chiedendo di non essere identificato. Il sequestro, secondo quanto si è appreso, è avvenuto "durante gli scontri degli ultimi giorni", ha aggiunto la fonte di Tripoli, sottolineando che il gruppo "chiede la revoca dello stato d'assedio imposto dalle forze dell'ordine per evitare che gli ostaggi siano uccisi".

Violenze repressione in Libia: per l'Indipendent i morti sono 200

Il sito del quotidiano britannico Independent, nel fornire bilanci complessivi sul numero di vittime della repressione di manifestazioni in Libia negli ultimi giorni, segnala la circolazione anche di "altre informazioni" - non meglio precisate - che parlano di "200 morti e più di mille feriti".
Si tratta di circa 80 morti in più rispetto ad altre informazioni non controllate. Lo scarto è poi di quasi 120 vittime rispetto al bilancio (84) stimato per tre giorni di violenze dall'organizzazione americana per la tutela dei diritti umani Human Right Watch (Hrw).

Intanto le autorità libiche hanno fatto sapere di aver arrestato decine di cittadini stranieri di Paesi arabi appartenenti a una "rete" che aveva lo scopo di destabilizzare il Paese. Lo ha reso noto l'agenzia di stampa ufficiale libica Jana.

 Una cinquantina di esponenti religiosi musulmani libici hanno rivolto ieri un
appello alle forze di sicurezza - di cui la Reuters ha auto visione - perché smettano di uccidere i manifestanti. "Questo - afferma il testo - è un appello urgente da parte di esponenti religiosi musulmani, studiosi, intellettuali ed esponenti di alto rango di clan di Tripoli, Bani Walid, Zintan, Jadu, Msalata, Misrata, Zawiah, e altre città e villaggi".

"Noi rivolgiamo un appello a ciascun musulmano, all'interno del regime o che lo aiuti in un qualunque modo", scrivono gli studiosi e i religiosi, aggiungendo che il loro appello è indirizzato a "qualsiasi musulmano, all'interno del regime o che lo sostiene, a riconoscere che uccidere innocenti esseri umani è vietato dal nostro Creatore e dal suo Profeta... Non uccidete vostri fratelli e sorelle. Fermate il massacro adesso.

Violenze repressione in Libia: per l'Indipendent i morti sono 200

Nel buio dell'informazione interrotta, con il blocco di Internet e Facebook inaccessibile, gli echi dei disordini in Libia fanno temere il massacro che rischia di estendersi da Bengasi, capoluogo della Cirenaica tradizionalmente avversa a Muammar Gheddafi, al resto del Paese con una repressione sanguinosa che ha già fatto decine di vittime.

E' di 84 morti l'allarmante bilancio di Human Right Watch per tre giorni di contestazione in Libia, mentre oggi a fine giornata c'e' chi parla già di oltre 120 vittime: l'organizzazione umanitaria con sede a New York grazie a segnalazioni di testimoni, fonti mediche e residenti, ha confermato oggi la gravita' della situazione in particolare a Bengasi dove in 72 ore di scontri - fino a ieri - Hrw aveva contato 55 morti, 35 solo nella notte tra ieri e oggi. Mentre Al Jazira riferisce di 15 morti oggi, vittime in alcuni casi di cecchini che hanno aperto il fuoco contro un corteo funebre a Bengasi.

''Bengasi è nel caos'', ha raccontato un italiano sul posto, e anche a Derna, 350 chilometri dalla città al centro della rivolta, secondo testimoni la situazione e' drammatica. Un dimostrante a Bengasi ha riferito inoltre alla Bbc che anche alcuni soldati stanno passando ''dalla parte della protesta'', mentre qualcuno riferisce di una citta' quasi 'fantasma' con le forze di sicurezza ritiratesi nella cittadella fortificata, noto come il Centro di Comando, da dove ''sparano i cecchini''.

E, secondo al Jazira, stamane alcuni aerei da trasporto militari carichi di armi per la polizia sono atterrati in un aeroporto a sud di Bengasi. Poi sono testimonianze e voci incontrollabili quelle che si rincorrono e si accavallano e cui - insistono tutti i media - è difficile trovare riscontri. Come quelle che riguardano anche il figlio di Gheddafi, Saadi, segnalato anche lui nel capoluogo della Cirenaica, assediato dai manifestanti secondo il quotidiano libico 'Libya El Yom' che parla anche di una forza militare speciale di circa 1.500 soldati e capeggiata da Abdallah Al Senoussi - genero e capo della guardia speciale del colonnello Gheddafi - diretta nella citta' per prelevare Saadi e riportarlo a Tripoli.

Negato l'ingresso alla stampa internazionale (ancora informazioni non verificabili riferiscono di manifestanti al valico di confine tra Libia ed Egitto intenzionati a prenderne il controllo proprio per far passare i giornalisti) è la voce degli esuli che getta luce sulla Libia in fiamme: ''Sarà un massacro, sara' un bagno di sangue se la comunità internazionale non interviene'', dice Mohammed Ali Abdallah, vicesegretario generale del Fronte nazionale per la salvezza della Libia, secondo cui forze speciali di sicurezza si apprestano ad attaccare Bengasi e altre città della Libia orientale per lanciare la repressione piu' dura: "Potrebbe esserci un bagno di sangue già nelle prossime 48 ore".

Forze speciali sarebbero inoltre pronte ad agire, pensate e organizzate per una lotta senza confini: l'obiettivo è annientare la protesta e per farlo, spiega un oppositore, si reclutano "unità militari di origine africana, che non hanno legami tribali e sulle quali si può quindi contare per una letale campagna di repressione". Perché se "un territorio sempre maggiore nell'est del Paese è sotto il controllo dei manifestanti - spiega la stessa fonte alla Cnn - è per via della struttura tribale che caratterizza la Libia: agenti di polizia e delle forze di sicurezza si rifiutano di sparare contro i manifestanti che appartengono alle loro stesse tribù'', quindi il governo ricorre a "unità militari di origine africana che non hanno legami tribali''.