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Caso Ruby, niente perquisizione nell’ufficio-bancomat di “ArdArcore”

I giudici di Milano dopo la decisione della Camera di ieri di rimandare a Milano gli atti e negano quindi, la perquisizione dell'ufficio della cosiddetta segreteria del premier ma poi usato come bancomat dalla regazze  pare 'usate' a loro volta abbondantemente nelle notti sfrenate di  "hardAcore", secondo quanto letto nelle intercettazioni, si dicono sereni e vanno avanti sicuri di fare e sempre e di aver fatto sempre il loro dovere seguendo solo quanto disposto dalle leggi italiane. E mai usando queste per fini personali che certamente non ne hanno bisogno e sicuramente a questi coraggiosi Pm di Milano, come la Boccassini che non si è fatta intimidire, nonostante le reiterate minacce di morte dal parte della Mafia di Reina e Provenzano, non si faranno intimidire dal signore di Arcore.

La Camera dei Deputati e molti imputati, che stanno tutti solo da una parte e quindi astio verso i giudici ne hanno a sufficienza per essere sempre al fianco del 'principe delle notti padane e, ieri, si è scoperto che erano, in settimana, reiterate con ragazze in trasferta dalla capitale lombarda a quella italiana, per ben due tre volte a settimana,  ha approvato la relazione di maggioranza sulla richiesta di perquisizioni nei confronti di Silvio Berlusconi nell'ambito del caso Ruby. I voti favorevoli sono stati 315, quelli contrari 298, astenuto il finiano Luca Barbareschi, che poi ha fatto mettere a verbale che la sua astensione è stata frutto di un errore. La relazione di maggioranza prevede il rinvio degli atti alla procura di Milano in quanto ritiene competente il Tribunale dei ministri poiché Berlusconi avrebbe telefonato alla questura milanese per chiedere notizie di Karima «Ruby» el Mahroug in quanto la riteneva nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak.

La maggioranza ha ottenuto i previsti 232 voti dal Pdl (mancava Berlusconi), 59 dalla Lega, 21 dai Responsabili, i due di Nucara e Mannino, più quello nuovo di Misiti, ex Mpa ora al Gruppo misto. Non ha partecipato al voto come consuetudine il presidente della Camera Gianfranco Fini. Il Pd aveva reso noto che «per gravi e documentate ragioni di salute» sarebbero mancati tre deputati. Non hanno preso parte alla votazione in tutto dodici parlamentari, quasi tutti dell'opposizione; i tre Pd (Cinzia Capano, Marco Fedi e Anna Rossomando), i finiani Giulia Cosenza e Roberto Rosso, l'Udc Luca Volontè, Gianni Vernetti (Api), il Lib-Deb Italo Tanoni e Karl Zeller (Svp). L'esponente dell'Mpa Ferdinando Latteri, insieme ai parlamentari del Gruppo misto Antonio Gaglione e Paolo Guzzanti non erano presenti. In missione Daniela Melchiorre (Lib-Dem) e Siegfred Brugger (Svp). Con il voto di giovedì sera la maggioranza aumenta la sua forza parlamentare rispetto ai 314 voti ottenuti il 14 dicembre sulla mozione di sfiducia e la settimana scorsa sulla mozione di sfiducia al ministro della Cultura, Sandro Bondi. I voti sono stati 315, ma avrebbero potuto essere 316 se Berlusconi si fosse presentato al voto.

Non si sbilancia su un suo passaggio nella maggioranza Aurelio Misiti, che si dice pronto a concedere anche la fiducia a Berlusconi «per cose serie, non per belle ragazze», ha detto il deputato che in giornata si è dimesso dall'Mpa («ma per altre vicende»). «Ho sempre votato guardando ai contenuti», ha aggiunto.

 Il capogruppo Pd alla Camera, l'ottimo Dario Franceschini, durante il dibattito aveva chiesto a Berlusconi - che non era presente perché ufficialmente «in missione» - di dimettersi in quanto «ha esposto il Paese al ridicolo davanti al mondo e a rischi dovuti al fatto che è ricattabile». «Siamo alle tecniche di sopravvivenza», ha commentato il voto il segretario del Pd Pier Luigi Bersani. «Abbiamo visto uno spettacolo avvilente con argomenti umilianti per il Parlamento: con quello che succede in Egitto si vota su questa roba».

«I numeri sono buoni, per adesso andiamo avanti», ha commentato Umberto Bossi. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, aveva annunciato che «la maggioranza sarebbe stata compatta, non nella difesa di Berlusconi in quanto persona, ma nella difesa del diritto di un parlamentare». «Ogni volta che provano a dare una spallata sbattono al muro: non ci sono riusciti sul federalismo, non ci sono riusciti in aula», ha commentato il ministro della Difesa, Ignazio La Russa. «Siamo a 316 più un astenuto», ironizza poi il ministro su Barbareschi. «E quell'astenuto continuerà ad astenersi perché io non lo voglio». «Barbareschi che prima si astiene e poi si corregge è la cosa più divertente di questi giorni bui della democrazia. Ormai è lo spot di se stesso, fa parte della sua strategia di comunicazione», ha commentato il finiano Fabio Granata.

L'esito del voto era dato per scontato alla procura di Milano. Inquirenti e investigatori stanno lavorando per sistemare il fascicolo e limare la richiesta di giudizio immediato per Berlusconi, indagato per concussione e prostituzione minorile. Richiesta che probabilmente lunedì prossimo verrà inoltrata al gip Cristina di Censo. Il procuratore della Repubblica, EdmondoBruti Liberati, ha ripetuto che gli intercettati sono stati una quarantina e che per le intercettazioni sono stati spesi in tutto 26 mila euro. Invece durante il dibattito a Montecitorio Maurizio Paniz(Pdl) ha affermato che l'inchiesta «è costata un milione di euro con 150 mila intercettazioni e 150 uomini impegnati nelle perquisizioni». Bruti Liberati ha aggiunto che «le foto che abbiamo visto sono irrilevanti dal punto di vista dell'inchiesta», riferendosi ad alcune immagini che alcuni organi d'informazione hanno definito «compromettenti».

Dopo la decisione della Camera di restituire alla Procura di Milano gli atti del Ruby-gate relativi alla richiesta di perquisizione dell'ufficio di Giuseppe Spinelli sul presupposto che la competenza ad indagare sarebbe del Tribunale per i ministri di Milano, vanno delineandosi - secondo esperti di procedura penale - diversi percorsi:  La procura di Milano rinuncia alla perquisizione - È l'ipotesi al momento prevalente, di fatto anticipata dall'imminente richiesta di giudizio immediato per Berlusconi, dal momento che i pubblici ministeri milanesi ritengono di avere la competenza funzionale in quanto, a loro parere, Berlusconi, per i fatti che gli sono contestati, avrebbe agito «in qualità» e non «nella funzione di Presidente del Consiglio». Solo in quest'ultimo caso si determina la competenza del Tribunale dei ministri; I legali del premier si rivolgono al gip o al tribunale - Prima che il giudice decida sulla richiesta dei pm di giudizio immediato, i legali del premier potrebbero proporre proprio al gip il problema della competenza funzionale, chiedendo che gli atti siano restituiti alla Procura perchè li trasmetta al Tribunale per i ministri. Se il gip disporrà il giudizio immediato, è scontato che la questione della competenza sarà sollevata in tribunale prima dell'apertura del dibattimento e il possibile conflitto di attribuzione - Se «l'opinione» della Camera circa la competenza del Tribunale per i ministri non trovasse seguito davanti all'autorità giudiziaria, potrebbe essere sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato. Tale conflitto non avrebbe l'effetto di sospensione obbligatoria del processo (diversamente da quanto accade per i quesiti di legittimità costituzionale), anche se, in genere, si preferisce attendere la decisione della Consulta. Sempre a parere di alcuni esperti di procedura penale, se fosse ravvisata la competenza del Tribunale per i ministri per via «giudiziaria» (dal gip o dal Tribunale), le prove eventualmente acquisite resterebbero valide. Nel caso in cui la competenza del Tribunale dei ministri fosse dichiarata dalla Corte Costituzionale in fase di soluzione del conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, la Consulta potrebbe dichiarare la nullità di alcuni atti dell'inchiesta.