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La morte annunciata dei piccoli centri dell’entroterra isolano: gli amministratori, poco preparati e arrivisti, cosa fanno?

Negli ultimi anni abbiamo assistito allo spopolamento dei piccoli centri soprattutto di quelli situati nell'entroterra. Il fenomeno riguarda un po' tutta l'Italia. Sono molteplici i motivi per cui la gente preferisce le città o comunque le località costiere. Primo fra tutti la maggiore possibilità di lavoro. Va da sé che la struttura delle città fa sì che sia essa stessa produttiva di lavoro di infrastrutture e di servizi che rendono la vita oltre che possibile per le esigenze elementari anche più gradevole per quanto riguarda l'aspetto sociale.

L'uomo moderno gradisce le grandi concentrazioni la moltitudine di gente che paradossalmente garantisce una perfetta privacy. Si può affermare che in uno grosso agglomerato proprio l'l'alta antropomorfizzazione fa sentire l'uomo più libero. Tutto ciò però non deve deporre per una condanna a morte dei piccoli centri i quali rappresentano un'eredità importante e formativa per il futuro di molti di noi.

Se è vero da una parte che la morte dei piccoli paesi ai tempi d'oggi la possiamo considerare fisiologica dall'altra la dobbiamo considerare come una patologia. A farli ammalare quasi sempre ci hanno pensato le amministrazioni comunali nelle quali essi si trovano. Li hanno fatti ammalare in due modi: totale disinteresse e incapacità nell'azione.

Il totale disinteresse credo che sia il modo più grave perché evidenzia una precisa volontà di eliminare pian piano questi paesi. Delle volte, e questo è gravissimo, gli enti locali si sono attivati in maniera tale da togliere ai piccoli centri quel poco che avevano in termini di servizi e di infrastrutture. Ascrivere il fatto alla necessità di concentrarle in un unico luogo per motivi di carattere economico vuol dire prima di tutto commettere un grosso errore in una prospettiva di lungo termine: la scomparsa di piccoli centri porterà sicuramente a perdite economiche ben più maggiori; in secondo luogo non tutto può essere valutato in termini economici perché ci sono situazioni che fanno valutate in termini umani e sociali.

Si è detto anche di incapacità nell'azione, anche perché solitamente i rappresentanti eletti negli enti locali non sempre hanno le conoscenze tecniche per potersi attivare in qualsivoglia modo. Ci si rende conto che è quasi impossibile pretendere per un centro di 250, 300 abitanti, le stesse infrastrutture di un grosso paese e tantomeno di una città, ma ciò che gli amministratori dovrebbero capire è che per non far scappare la gente ci vuole molto meno.

È necessaria maggior attenzione alla viabilità urbana, ci vuole una segnaletica stradale all'interno del paese, ci vuole un'illuminazione, una ludoteca e altri piccoli investimenti che migliorano di gran lunga la qualità della vita. Nella neo nata provincia Olbia Tempio, risalendo la provinciale 24, che da Olbia porta ad Alà dei Sardi, incontriamo Padru, un comune costellato da piccoli centri che non sfuggono alla dura legge dello spopolamento.

Il territorio è prevalentemente montuoso, con montagne che arrivano quasi 1000 m. Diffusissima è la macchia mediterranea, ma ancor di più lo sono i boschi di lecci e sughere. Attività prevalente di questi luoghi era un tempo la pastorizia. Ora essa è notevolmente ridimensionata a favore delle attività edilizie svolte nella vicina costa orientale.

 Dal punto di vista architettonico sia Padru che le sue borgate hanno poco da offrire se non qualche esempio di architettura povera del settecento. Se si eccettua la frazione di "Sa Pedra Bianca", dove le vecchie case sono state ristrutturate e quindi conservate, nelle altre zone urbane il vecchio è stato sostituito dal nuovo.

Le case rimaste sono a dir poco affascinanti. Solitamente costruite in pietra granitica squadrata, legata con fango argilloso, sono formate da una sola stanza, raramente da due. Incastrato nel muro, che era molto spesso, troviamo il cammino, vera anima della casa: lì si cucinava, ci si riscaldava e si svolgeva quel poco di vita sociale che l'isolamento dei luoghi permetteva. Il tetto era ricoperto di tegole fatte in loco che poggiavano su una struttura di travi di ginepro, legno praticamente inattaccabile da tarli e da qualsiasi agente atmosferico. Il sottotetto era sfruttato come ripostiglio e nella parlata locale lo si indicava come "Su giostre": vi si accedeva tramite una piccola scala che poteva essere fatta nel solito ginepro oppure nel solito granito. Raramente esistevano finestre e quando c'erano, erano piccolissime, senza vetri con un semplice sportello di legno. Di solito era la porta d'ingresso a dare luce alla casa tramite uno sportellino situato nella parte superiore di essa. Al di fuori si trovava una classica banca di granito dove la gente d'estate, una volta tramontato il sole, si sedeva per godere un momento di fresco. Un'altra caratteristica di queste case era di coltivare nelle adiacenze un geranio dall'infiorescenza di piccole dimensioni, profumatissimo, molto bello a vedersi, capace, a detta della gente, di tenere lontano ogni genere di insetto. Questo geranio dai locali veniva detto "Mama Rosa".

Fino a circa venti anni fa Padru e le sue frazioni facevano parte del comune di Buddusò con il quale tra l'altro non esisteva nemmeno la continuità territoriale essendoci per mezzo il comune di Alà dei Sardi. Poi uno referendum sancì l'indipendenza.

 Al territorio di Padru ci si riferisce solitamente come  a "Sos saltos de Josos" e questo ha ingenerato la convinzione in qualcuno che il termine "saltos" si riferisce al fatto che per arrivare da Buddusò a Padru si dovesse saltare il comune di Alà. Non è così. In Sardegna abbiamo altri saltos che non saltano niente. Saltos deriva dal latino medievale saltus che indicava una zona boscosa e particolarmente impervia. A sua volta questo termine medioevale derivava dal termine latino classico saltus che era una misura di superficie pari a circa 200 ha odierni.

 E interessante però capire come mai la zona di Padru sia divenuta parte integrante del comune di Buddusò. Da antichi documenti sappiamo che questa zona era abitata fin dall'antichità ma gli antichi centri, presenti fino al 1400, subirono un fortissimo spopolamento, tale da non permetterne la sopravvivenza. Di questo fenomeno non si conoscono a fondo i motivi. Sta di fatto che siamo ancora in periodo medioevale e la zona con Buddusò, Ozieri, Alà dei Sardi apparteneva a dei feudatari spagnoli: era il feudo del Monte Acuto.

 In questo periodo quando una zona si spopolava veniva accorpata ad un'altra che fosse all'interno dello stesso feudo dato che non era possibile il passaggio da un feudo all'altro. Per vicinanza territoriale sarebbe stato naturale l'accorpamento con la Villa di Alà dei Sardi. Esisteva però un problema tutti: Alà dei Sardi era una villa troppo piccola per sostenere l'accorpamento ed allora sì scelse Buddusò che presto ripopolò la zona con i propri pastori. All'inizio questi vennero a svernare ma poi la loro presenza divenne stanziale dando vita a nuovi piccoli paesi oppure rafforzando numericamente alcuni preesistenti.

 Ora il comune di Padru conta varie frazioni tra cui "Sotza" ( e non Sozza come ostinatamente si sostiene nei documenti del comune: la "Z" in sardo non si raddoppia e il gruppo consonantico TZ sta per la così detta Z sorda che si pronuncia come nella parola italiana notizia), Cutzola, Su Tirialzu,Su Nodalvu, Sos Runcos, Sa Pedra Bianca, Sas Enas, Sa Serra, Ludurru e, le ormai disabitate frazioni di Poltolu, Badu Andria, e Ciuscherreddu. Vicinissimo a Padru troviamo poi Badde 'e Vera e sulla strada che porta a San Teodoro, le Frazioni di Biasì, Budò e Graniadolzu dalla tipica parlata gallurese.

 Sulla parlata  c'è da dire che essendo la zona di Padru una zona di confine non era difficile trovare persone che parlassero perfettamente sia il sardo logudorese che il gallurese. Questo succedeva soprattutto a "Padru" e "Sotza" dove si poteva riscontrare una sorta di bilinguismo perfetto. Infatti moltissime persone nel passare dal sardo al gallurese, non facevano una traduzione ma cambiavano registro linguistico.

 Ora questi piccoli borghi stanno nuovamente subendo il fenomeno dello spopolamento. Soltanto la tenacia di coloro che ancora vivono conservando la memoria dei loro avi permette a questi luoghi di sopravvivere. E l'uomo comune dire che siano luoghi ideali per chi, una volta andato in pensione, voglia godere di pace e di tranquillità. Non c'è dubbio che in questi luoghi si possa godere di tranquillità ma forse non si sono capite le esigenze delle persone che oggi vanno in pensione.

Grazie alle maggiori aspettative di vita, chi va in pensione cerca luoghi dove poter accedere al divertimento, all'aggregazione insomma luoghi dinamici che forniscano servizi e che questi piccoli borghi non danno. Anche per le necessità primarie da questi luoghi bisogna spostarsi in macchina e fare molti km e questa non è certo una prospettiva attraente. A questo momento non si vedono molte soluzioni per rivitalizzare questi luoghi almeno che non si escogiti un metodo per far si che almeno le necessità primarie della gente possano essere garantite in loco.

Franco Buschettu