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La Consulta pone fine all’illegittimo impedimento.

Con un verdetto frutto di mediazione, la Corte costituzionale ha di fatto svuotato e indebolito il 'legittimo impedimento', la legge nata su idea dell'Udc per mettere al riparo il premier Berlusconi, almeno fino al prossimo ottobre, dalla ripresa dei tre processi a suo carico (Mills, Mediaset e Mediatrade).

Senza arrivare a una bocciatura secca dello 'scudo' su cui, prima della sospensione per il pranzo, stavano per convergere 8 giudici contro 7, la Corte ha aggirato l'ostacolo ponendo un alto argine all'indeterminatezza e all'automatismo della legge e riaffermando che, come oggi già accade per gli imputati comuni, deve essere il giudice a "valutare in concreto" l'impedimento addotto dal premier prima di rinviare l'udienza.

In altre parole, saranno gli stessi giudici di Milano da cui il premier si sente perseguitato a decidere se un consiglio dei ministri, una missione internazionale o qualsiasi altra attività governativa indicata dalla legge come impedimento (incluse quelle "preparatorie, consequenziali" e "coessenziali" alle funzioni di governo) sia realmente indifferibile nella sua concomitanza con l'udienza.

Ciò su cui d'ora innanzi Berlusconi non potrà più contare è l'obbligo per il giudice di rinviare l'udienza fino a sei mesi nel caso in cui Palazzo Chigi certifichi che l'impedimento è continuativo. Tutta questa parte della legge - prevista dal comma 4 - è stata infatti cancellata dalla Corte per violazione degli articoli 3 (principio di uguaglianza di fronte alla legge) e 138 della Carta (necessita" di una norma costituzionale).

Ma l'intervento della Consulta è stato un ampio lavoro di 'taglia e cuci'. La legge è stata infatti in parte bocciata (il comma 4, appunto), in parte interpretata (il comma 1) e in altra parte manipolata (il comma 3) con una sentenza additiva. Per comprendere il reale danneggiamento dello 'scudo' del premier toccherà attendere le motivazioni che il giudice relatore della causa, Sabino Cassese, dovrà mettere nero su bianco e far votare nuovamente al collegio in una delle prossime camere di consiglio (la prima e' quella del 24 gennaio).

E scrivere le motivazioni non sarà facile visto che, in ambienti di Palazzo della Consulta, c'è chi già definisce la decisione della Corte frutto di un compromesso tradotto in un bizantinismo. Il premier Berlusconi detta la linea nell'astenersi dall'attaccare - almeno stavolta - la Consulta e nel definire la decisione un "compromesso accettabile': i suoi legali Niccolò Ghedini e Piero Longo esprimono pertanto soddisfazione perché secondo la Corte è "valido ed efficace" l'impianto della legge, specie nella tipizzazione degli impedimenti; il Guardasigilli Angelino Alfano enfatizza il riconoscimento del principio secondo cui "l'esercizio della giurisdizione deve tenere conto della funzione di governo".

Il pericolo perà che i giudici di Milano, una volta lette le motivazioni della sentenza della Corte, possano non concedere i rinvii delle udienze chiesti da Berlusconi è concreto. In tal caso i suoi legali avrebbero comunque un'arma di riserva che sarebbe stata loro vanificata nel caso di bocciatura in toto della legge: far sì che il Parlamento sollevi conflitto tra poteri con la magistratura di Milano dinanzi alla Corte Costituzionale. Passerebbero altri mesi. E ai giudici della Consulta tornerebbe una 'palla avvelenata'. L'ennesima, in un collegio perennemente in bilico perché diviso.

Il presidente Ugo De Siervo (eletto il mese scorso per un solo voto in più) avrebbe lavorato con il relatore Cassese alla mediazione che nel pomeriggio ha fatto virare l'orientamento del collegio da una bocciatura totale a una parziale. Da uno schieramento di 8 contro 7, i giudici sono passati a esaminare lo 'scudo' comma per comma, con votazioni che di volta in volta sono state di nove contro sei, dieci contro cinque e, infine, undici contro quattro.