E' iniziata questa mattina l'udienza pubblica della Corte costituzionale
che oggi esamina il ricorso presentato dal tribunale di Milano sulla questione di legittimità costituzionale sulla legge sul legittimo impedimento. I giudici della Consulta dovranno pronunciarsi sulla norma che dall'aprile del 2010 congela a Milano i processi Mills, Mediaset e Mediatrade che coinvolgono il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. Camera di consiglio per la decisione a partire da giovedì.
I giudici, riferisce chi ha avuto modo di parlarci, non hanno mai nascosto di essere "infastiditi" dalla responsabilità che è stata caricata sulle loro spalle: quella di una possibile fine prematura della legislatura se decideranno di bocciare la legge.
Decisione che potrebbe arrivare, si dice negli ambienti giudiziari, di stretta misura: potrebbe essere lo stesso risicato risultato 8 a 7 registratosi in occasione dell'elezione di Ugo De Siervo alla presidenza, nel dicembre scorso. Ma per ridurre
l'impatto politico della decisione prende piede l'ipotesi di un compromesso fra le due 'anime' delle Corte, attraverso una sentenza 'interpretativa', che cancellerebbe l'automatismo dei rinvii stabiliti dalla legge e restituirebbe al giudice di merito
la valutazione sulla reale consistenza degli impegni di governo accampati dall'imputato: se cioè l'impedimento a comparire in udienza sia dovuto a impegni realmente "coessenziali a svolgere la funzione di governo".
Nell'udienza pubblica della Corte Costituzionale il giudice relatore, Sabino Cassese, ha esposto la tesi di incostituzionalità della legge 53 del 7 aprile 2010, sollevata dal Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza del 19 aprile 2010, per violazione dell'articolo 138 della Costituzione e sottolineato che la legge sul legittimo impedimento abroga l'articolo 420-ter. Cassese solleva anche il problema della continuità dell'impedimento.
La legge grazie alla quale il premier Berlusconi resterà lontano dalle aule di giustizia fino all'ottobre prossimo "non sostituisce o abroga l'articolo 420-ter del codice di procedura penale (che regola l'assoluta impossibilita' a comparire dell'imputato per causo fortuito o forza maggiore, ndr.) ma si limita a tipizzare l'impedimento"
del premier "pur conservando la facolta' di apprezzamento del giudice che la legge gli attribuisce", ha replicato poco dopo l'avvocato Nicolo' Ghedini, uno dei legali del premier assieme a Piero Longo.
Dinanzi ai giudici costituzionali Ghedini parla per circa un quarto d'ora sulla rilevanza della questione di legittimità sollevata dai giudici di Milano. E, nel sottolineare che anche precedenti sentenze della Consulta hanno indicato l'apprezzamento da parte del giudice sui casi di impedimento dell'imputato, ha cosi' voluto rispondere ad una specifica domanda del giudice relatore, Sabino Cassese, che invitava i difensori a chiarire quanto il potere di controllo del giudice sui casi di legittimo impedimento di premier e ministri potesse svolgersi sulla "consistenza del fatto e dell'evento o anche sulla sua concomitanza".
"Nel nostro Paese i tempi ragionevoli del processo e la sua speditezza sono assai opinabili e trovano elastica applicazione a seconda dei vari casi processuali", ha poi detto Ghedini, aggiungendo che "le scansioni processuali sono rilevanti e il giudice ricorrente avrebbe dovuto tener conto della leale collaborazione da noi offerta per garantire il regolare svolgimento dei processi; il giudice avrebbe dovuto e
potuto utilizzare gli strumenti interpretativi che la legge gia' gli offre. Chiunque abbia un minimo di esperienza della nostra realta' processuale sa che un rinvio di un mese o anche di tre o quattro e' del tutto fisiologico nel nostro sistema processuale e che non comporta alcuna sospensione della prescrizione: nessuno - ha continuato il legale - può ragionevolmente sostenere che in Italia il criterio della speditezza sia davvero rispettato e che il relativo principio sia coniugato alla nostra realtà processuale".