La Corte di Cassazione è recentemente intervenuta in materia di reati edilizi e, con la sentenza n. 37713 del 01.10.2012, ha espresso un principio molto importante in merito ai lavori di ristrutturazione all’interno di un edificio che comportino una mera ridistribuzione dei vani.
Nel caso in esame la Corte d’Appello territoriale aveva confermato la condanna dell’imputato alla pena di cinque mesi di arresto e di 23.000 euro di ammenda per il reato di cui all’art. 44 lett. b) e c) del d.P.R. n. 380 del 06.06.2001 per aver eseguito dei lavori in zona sottoposta a vincoli paesaggistici senza il permesso di costruzione. Secondo la Corte, infatti, la preesistenza dell’edificio non esentava l’imputato dall’obbligo di richiedere il permesso autorizzatorio poiché gli interventi da realizzarsi dovevano essere considerati di nuova costruzione.
Presentava, dunque, ricorso per Cassazione l’imputato, il quale motivava le proprie difese principalmente asserendo che le opere realizzate dovevano considerarsi quale manutenzione straordinaria nel restauro o risanamento conservativo oppure come ristrutturazione leggera per la quale è sufficiente la denuncia di inizio lavori, considerato anche che la superficie utile era rimasta immutata. Inoltre, nel ricorso si precisava come l’edificio non fosse stato integralmente demolito e ricostruito, ma fossero stati unicamente ricostruiti i solai e non ci fosse stato alcun aumento della volumetria.
Nella sentenza che definiva il giudizio, i giudici della Corte di Cassazione confermavano il principio di diritto ormai consolidato dai recenti orientamenti giurisprudenziali in virtù del quale le opere interne che comportino l’aumento di unità immobiliari o modifiche di volumi, prospetti o superfici, nonché il mutamento di destinazione d’uso, necessitano del permesso di costruire.
Tuttavia, nella fattispecie in esame non si poteva ravvisare la sussistenza di alcuno dei suddetti elementi, poiché gli interventi realizzati dal ricorrente si esaurivano tutti all’interno dei fabbricati e non comportavano né l’ampliamento del perimetro esterno dei manufatti né l’elevazione delle rispettive altezze. E’ da escludersi, infatti, che la diversa distribuzione dei vani, per numero ed ampiezza, all’interno della stessa identica superficie totale calpestabile integri un aumento volumetrico per il quale si richiede il permesso di costruire, fatto salvo il caso di realizzazione di unità immobiliari autonome.
Inoltre, anche la contestazione del reato di cui all’art. 181 del Codice dei beni culturali per i lavori eseguiti in zona sottoposta a vincoli paesaggistici veniva ritenuta infondata poiché la condotta del ricorrente non era penalmente rilevante in quanto inidonea a compromettere i valori del paesaggio e l’aspetto esteriore degli edifici.
Da qui la decisione della Corte di accogliere il ricorso e annullare la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste. CS.