Una interessante sentenza del Tribunale di Catanzaro ha affrontato il delicato tema del diritto di critica dell’operato di un dipendente da parte del datore di lavoro.
Nel caso di specie, la parte attrice (dipendente della Regione Calabria) aveva chiesto l’integrale risarcimento del danno psichico subito a causa del contenuto ingiurioso e diffamatorio di due e-mail inviatele da due dirigenti, con le quali essi avrebbero violato e leso la sua reputazione personale e professionale.
Il giudice di merito, tuttavia, con la sentenza n. 1734 del 21.05.2012, non ha ritenuto che le due note avessero alcun contenuto offensivo, poiché volte esclusivamente a criticare la condotta non collaborativa della lavoratrice, la quale aveva in più occasioni disconosciuto il ruolo e la funzione esercitata dal dirigente fino ad esasperare gravemente la situazione all’interno dell’ufficio.
Pertanto, avendo i dirigenti contestato nelle due missive la condotta professionale della dipendente e non la persona in se e per se considerata senza superare i limiti del diritto di critica, il giudice adito rigettava la domanda di risarcimento avanzata dalla lavoratrice e la condannava al pagamento delle spese processuali.
Infatti, il concetto chiave elaborato a più riprese dalla Corte di Cassazione e richiamato nella sentenza in esame, è che il datore di lavoro o comunque il soggetto gerarchicamente sovraordinato al lavoratore può sottoporre a critica l’operato del dipendente, purchè appunto la censura si rivolga alla condotta dello stesso e non leda la dignità umana mediante l’uso di espressioni volte a mortificare la figura morale del lavoratore.
Le censure mosse al dipendente, dunque, devono essere rivolte alla condotta tenuta dallo stesso nel contesto lavorativo e non alle sue qualità morali. Tali sono i limiti del diritto di critica da parte del datore. Solo il loro travalicamento potrà configurare un illecito penalmente sanzionabile e civilmente risarcibile. CS.