In una recentissima sentenza del 23.11. 2012 la quinta sezione della Corte di Cassazione ha avuto modo di affrontare un caso di lesioni e percosse in danno della figlia da parte del padre e della sua convivente. A seguito del divorzio dei genitori, la ragazza sedicenne trascorreva infatti in casa del padre una settimana su due e proprio in tali occasioni sarebbero avvenuti gli episodi violenti contestati.
Nel primo di questi la convivente aveva scagliato contro la minore un cucchiaio e, dopo averla afferrata per un piede e fatta cadere dal letto, le aveva sferrato un calcio sul collo. Il padre poi l’aveva afferrata per i capelli e schiaffeggiata violentemente cagionandole lesioni ed ecchimosi al volto, al collo e alla spalla. Nel secondo episodio, invece, il padre aveva afferrato per un braccio e schiaffeggiato ripetutamente la ragazza.
Imputati dei reati di lesioni e di percosse, i due venivano condannati ad una pena pecuniaria di euro 750 ed euro 600, nonché al risarcimento del danno in favore della parte civile. La sentenza del giudice di pace veniva successivamente confermata in appello e gli imputati ricorrevano per Cassazione deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo si lamentava l’omessa valutazione dell’aver l’imputata afferrato la gamba della persona offesa in quanto la ragazza aveva reagito scalciando nei suoi confronti ad un rimprovero per aver fumato. Non sussisteva, quindi, alcun intento aggressivo da parte della convivente ma si trattava di una reazione finalizzata alla propria difesa.
Nel secondo motivo gli imputati invocavano la causa di giustificazione del c.d. ius corrigendi, in quanto in entrambi gli interventi sarebbe stata esercitata una modesta violenza fisica finalizzata alla correzione di condotte arroganti e disubbidienti della ragazza.
La Corte riteneva, tuttavia, infondati entrambi i motivi e rigettava i ricorsi presentati dagli imputati. Infatti la dinamica della condotta contestata, trascinamento della ragazza fuori dal letto e percussione con un calcio al collo, era senza dubbio incompatibile con un comportamento difensivo dell’imputata. Inoltre, la stessa azione dello scalciare da parte della minore lasciava piuttosto presupporre un tentativo di difesa da parte sua piuttosto che una volontà di offendere, finalizzata a tenere lontana la donna da sé.
Inoltre, non poteva riconoscersi in questo caso la legittimità dell’esercizio dello ius corrigendi agli imputati, poiché le condotte poste in essere dagli stessi travalicavano i limiti dell’esercizio delle facoltà coercitive genitoriali, risolvendosi in atti violenti esorbitanti la finalità correttiva. Infatti, le percosse reiterate e produttive di lesioni devono considerarsi estranee ed incompatibili con la finalità correttiva in quanto lesive della dignità del minore e nocive per uno sviluppo equilibrato della sua personalità.
Pertanto, l’esercizio dello ius corrigendi può essere invocato a sostegno della propria difesa solo ed esclusivamente qualora si sia in presenza di un mezzo correttivo ed educativo giuridicamente lecito. CS.