Roma, 18 Dic 2025 - La parte più ampia dell’intervento della premier a Montecitorio è stata dedicata all’Ucraina. Meloni ha ribadito che l’Italia continuerà a sostenere Kiev, ritenendo che un eventuale collasso ucraino avrebbe conseguenze dirette sulla sicurezza europea. Allo stesso tempo ha escluso in modo netto l’invio di soldati italiani sul terreno.
Secondo la presidente del Consiglio, la Russia è oggi «impantanata» in una guerra di posizione lunga e costosa, che richiede di mantenere alta la pressione economica su Mosca, sempre nel rispetto dello Stato di diritto. In questo quadro ha chiesto cautela sull’utilizzo degli asset russi congelati: l’Italia sosterrà il regolamento europeo, ma senza avallare decisioni operative sul loro impiego, che Meloni ritiene debbano essere prese dai leader politici dell’Ue e valutate attentamente per i possibili rischi giuridici e finanziari.
Sul fronte diplomatico, Meloni ha detto che il nodo dei territori resta l’ostacolo principale a qualsiasi negoziato e che, al momento, non emergerebbe da parte russa una reale volontà di avviare un processo di pace credibile, come dimostrerebbero i bombardamenti continui e le richieste considerate irragionevoli, in particolare sul Donbass.
L' Aula della Camera aveva approvato con 177 sì e 123 no le comunicazioni in vista del Consiglio europeo del 18 e 19 dicembre. Il discorso della premier ha toccato soprattutto la guerra in Ucraina, il Medio Oriente, il commercio internazionale, le politiche migratorie e il bilancio dell’Unione.
L' aula del Senato ha approvato la risoluzione presentata dalla maggioranza sulle comunicazioni della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio europeo (nello stesso testo votato alla Camera).
Il voto è avvenuto per alzata di mano e subito dopo confermato dalla verifica elettronica. Ci sono stati "oltre 39 voti di differenza", ha specificato in Aula il presidente del Senato, Ignazio La Russa.
Precluse e quindi respinte, di fatto, senza essere messe ai voti, le altre 5 risoluzioni proposte dalle opposizioni e su cui il governo aveva espresso parere contrario.












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