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Sardegna al lavoro, analisi e scenari di mercato tra innovazione, IA e nuove competenze: quale futuro per l’occupazione. La ricerca Cna Sardegna.

Cagliari, 26 Lug 2025 - La Sardegna presenta un sistema produttivo incentrato su settori tradizionali e a bassa vocazione tecnologica, che fatica ad adattarsi ai cambiamenti. Il ricambio generazionale procede lentamente, anche per via di un mercato del lavoro che non riesce a garantire una domanda occupazionale stabile che concentra gran parte dei rischi sui giovani e sulle donne, in termini di precarietà, disoccupazione, contratti a termine, part-time involontario e forte stagionalità. Questa situazione alimenta l’emigrazione della componente più dinamica e istruita della società, accelerando l’invecchiamento strutturale (specialmente nelle aree interne più isolate e depresse) e il declino della popolazione in età lavorativa, con conseguenze dirompenti sull’equilibrio socioeconomico dell’isola. È quanto emerge dalla ricerca realizzata da CNA Sardegna dal titolo “Sardegna al lavoro, analisi e scenari di mercato tra innovazione, IA e nuove competenze: quale futuro per l’occupazione”.

I trend sulle dinamiche occupazionali sono positivi: tra il 2024 e 2021 si contano quadi 30 mila occupati in più; la percentuale di occupati nella classe 20 – 64 anni è passata dal 57% al 62%, mentre il tasso di disoccupazione ha raggiunto il valore minimo degli ultimi 50 anni (8,3%); Si tratta di numeri postivi che tuttavia se inseriti nel contesto più ampio delle tendenze generali dell’economia italiana dell’ultimo quinquennio, si ridimensionano. Ne confronto con le altre regioni italiane, la performance quinquennale del mercato del lavoro sardo appare modesta. Nella media del 2024 tutte le regioni, ad eccezione del Molise, avevano superato la Sardegna in ben quindici casi (+1,7% dell’isola risulta superiore solo a 3 regioni isolane).

Le statistiche ufficiale sulla popolazione per anno di età dicono che nel corso dell’ultimo decennio (2014 – 2024) la popolazione con età comprese tra i 20 e 64 anni ha registrato 118 mila unità in meno, una contrazione che si amplifica al -22,3% tra la popolazione tra i 20 e 34 anni, (-4,6% e 7,7% rispettivamente le medie nazionali).

Le proiezioni per il prossimo decennio indicano una possibile accelerazione del fenomeno, con una riduzione di 122 mila unità in età lavorativa. Senza efficaci politiche del lavoro, nel prossimo decennio le trasformazioni demografiche in atto porteranno ad un calo del numero degli occupati di 76 mila unità. Questo in assenza di significativi incrementi di produttività, produrrà un assestamento del calo del reddito pro-capite per i cittadini sardi al netto dell’inflazione del 6,5%.

Non solo la produttività del lavoro appare in calo nell’ultimo biennio, ma risulta anche nettamente in ritardo nel panorama regionale italiano. Il rapporto tra valore aggiunto e ore lavorate colloca l’isola al quart’ultimo posto in Italia con appena 33 euro di valore aggiunto per ore lavorate, un dato da comparare con i circa 40 euro medi registrati a livello nazionale. Ben lontano dagli standard delle regioni del nord d’Italia: Lombardia (47 euro) Emilia Romagna (43 euro); nell’ultimo triennio la produttività si è ridotta di mille euro per occupato.

La Sardegna inoltre, analizzando la distribuzione delle ore lavorate, mostra una maggiore concentrazione su settori a produttività inferiore alla media, l’81% contro il dato nazionale del 72%, dopo la sola Calabria, il dato peggiore tra le regioni italiane.

La Sardegna è la regione che nella media dell’ultimo triennio, dopo la Valle d’Aosta, il lavoro stagionale ha inciso di più sulla domanda di lavoro (il 58% contro una media nazionale del 15,4%).

La percentuale dei laureati negli atenei sardi che lavorano fuori dall’isola dopo 5 anni dal conseguimento del titolo è pari al 20 %.

Un dato che non sorprende in un contesto in cui l’elevata disoccupazione giovanile - ancora al 15% nel 2024 – sei punti più della media nazionale, percentuali di N.E.E.T. elevate 22,3%, maggiore frequenza di part – time involontario, 14,7% sul totale degli occupati contro il 9,6 medio nazionale, spingono parte del capitale umano più qualificato a riconvertirsi in ruoli di servizio e bassa intensità di conoscenza o a emigrare verso contesti dove a maggiore dinamicità del tessuto delle imprese genera salari e traiettorie di carriera più attrattive. La Sardegna ha la percentuale più alta 17,3% dei giovani nella fascia 18 – 24 che esce precocemente dal sistema scolastico senza qualifiche, quasi 7 punti in più della media italiana, raddoppiando la soglia europea fissata dall’UE come traguardo continentale al 2030.

Il sistema delle imprese della Sardegna potrebbe aumentare il proprio valore aggiunto, a parità di costi produttivi e ore lavorate, di circa il 25% se operasse in maniere ottimale ovvero, come le regioni che si collocano sulla frontiera efficiente. Si tratta di 9 mld di euro di maggiore PIL (ai prezzi del 2023) ottenibili, investendo sulla formazione del capitale umano, sul miglioramento dei processi produttivi, della tecnologia, dell’organizzazione dei modelli gestionali. Anche rispetto alla efficienza media nazionale i margini di miglioramento sono evidenti, con circa 10 punti di percentuali di PIL che mancano all’appello (3/4 mld).

Estendendo e riadattando al contesto regionale una metodologia sperimentale introdotta dall’ILO si può stimare come nell’ipotesi teorica di prima implementazione delle nuove tecnologie nei settori produttivi, in Sardegna il saldo occupazionale netto, ovvero i nuovi posti lavoro, meno i posti di lavoro a rischio, porterebbe ad una perdita globale di 60 mila posti di lavoro, il 10% dell’occupazione attuale.

La Sardegna nonostante una struttura economica poco “industriale” è incentrata su P.A., costruzioni, turismo, artigianato e agricoltura, nel caso di piena implementazione delle nuove tecnologie di intelligenza artificiale per l’automazione e l’ottimizzazione dei processi produttivi, vedrebbe crescere il valore aggiunto del 12,8%. Si tratta di un potenziale guadagno di ricchezza importante, pari a circa 5 mld di euro.

“Un’analisi del mercato del lavoro che vada oltre la positività che è possibile cogliere dall’incremento occupazionale dell’ultimo triennio, quasi tutto concentrato su settori a basso valore aggiunto - propone - se analizziamo la struttura del mercato, in termini di precarietà, disoccupazione, contratti a termine, part time involontario, stagionalità, produttività e la qualità del capitale umano, elementi di grande preoccupazione, soprattutto se si guarda al salto tecnologico in atto e alla competizione economica sempre più accentuata tra i sistemi territoriali.” È la sintesi proposta da Luigi Tomasi e Francesco Porcu- rispettivamente presidente e segretario regionale di CNA Sardegna commentando la ricerca realizzata da Cna Sardegna dal titolo Sardegna al lavoro, analisi e scenari di mercato tra innovazione e nuove competenze: quale futuro per l’occupazione. “La digitalizzazione, l’automazione, l’intelligenza artificiale stanno cambiando il contenuto stesso delle professioni. Uno dei messaggi chiave della ricerca – dichiarano Tomasi e Porcu – riguarda la centralità delle competenze. Il lavoro non si crea per decreto, ma investendo sulle persone. Occorre uscire dall’emergenza dei bonus temporanei, dagli incentivi a pioggia. Serve un investimento strutturale su tutta la filiera dell’istruzione, dalla scuola alla formazione professionale; occorre promuovere un “lavoro” vicino alle comunità che tenga conto delle vocazioni dei territori, che promuova le filiere locali, che scommetta su innovazione sostenibile e di prossimità. La manifattura digitale, il turismo esperienziale, l’agroalimentare di qualità, l’edilizia green, le energie rinnovabili, sono alcuni dei settori che possono diventare motori di occupazione qualificata. Le istituzioni regionali hanno un compito fondamentali: disegnare politiche del lavoro lungimiranti e stabili nel tempo. Serve – concludono Porcu e Tomasi – semplificare l’accesso ai fondi, rendere efficaci i servizi per l’impiego, sostenere l’autoimprenditorialità giovanile e femminile, valorizzare i percorsi tecnici e professionali. Il Piano Regionale di Sviluppo - concludono Porcu e Tomasi – prevede linee d’azione e di intervento nei tanti settori che la ricerca evidenzia come critici e risorse finanziarie importanti da destinare alla valorizzazione del capitale umano, all’imprenditorialità, alla formazione universitaria e professionale, al lavoro di qualità, stabile qualificato e coerente con le vocazioni territoriali. Si tratta ora di mettere a terra queste risorse con strumenti e provvedimenti virtuosi che producano gli effetti tangibili e desiderati ma che al contempo siano fruibili dal sistema delle imprese”. Com

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