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Russia Ucraina e il ponte di Crimea: la nuova beffa a Putin, colpito con esplosivi. L’affronto.

Kiev, 4 Giu 2025 - L'esplosione vicino al pilone, la colonna d'acqua che si solleva in aria, i detriti che ricadono nello stretto di Kerch. E a migliaia di chilometri, l'esultanza dei servizi di sicurezza ucraini dell'Sbu, che per la terza volta dall'inizio della guerra hanno rivendicato di aver colpito il Ponte di Crimea, il simbolo dell'occupazione russa dell'Ucraina. 

Un modo concreto, ma soprattutto simbolico, di rispondere al nulla di fatto dell'ultimo round di negoziati a Istanbul. E al memorandum russo per la fine della guerra che nelle sue proposte rappresenta una sostanziale richiesta di resa delle forze di Kiev, con la trasformazione del Paese invaso in territorio neutro tra Russia e Occidente.

Secondo l'Sbu, l'operazione per colpire il ponte è durata diversi mesi: per prima cosa, gli agenti hanno minato i pilastri della struttura e alle 04:44 del mattino ora locale, è stato attivato il primo ordigno. Durante l'esplosione, i supporti subacquei del livello inferiore sono stati gravemente danneggiati, sostengono gli ucraini precisando di aver utilizzato per l'attacco 1.100 kg di esplosivo.

Rivendicando l'operazione, Kiev ha voluto comunicare a Mosca che se vuole continuare la guerra, le forze ucraine risponderanno con forza, come già testimoniato dalla maxi operazione che sabato ha portato alla distruzione di 41 velivoli militari russi, compresi bombardieri strategici, fino in Siberia.

L'obiettivo del governo di Zelensky e quello di minare le capacità russe di colpire le città ucraine che restano sotto il fuoco: solo nell'ultima giornata, le forze di Mosca hanno attaccato Sumy provocando quattro morti e 24 feriti, prima di rivendicare la conquista di un altro villaggio nell'oblast nordorientale ucraino. In un altro attacco, un raid russo ha colpito un'area residenziale di Kharkiv provocando almeno 2 morti.

"Non un solo giorno la Russia smette di attaccare le città e i villaggi dell'Ucraina", ha ricordato Volodymyr Zelensky, sottolineando come sia "ovvio che senza pressioni da parte del mondo, senza passi decisivi da parte degli Stati Uniti, dell'Europa e di chiunque al mondo abbia potere, Putin non accetterà nemmeno un cessate il fuoco".

L'ultimo incontro di Istanbul ha infatti reso ancora più chiaro lo stallo che caratterizza i negoziati per la fine della guerra, con le richieste russe considerate 'non-starter' per Ucraina e alleati occidentali. Compresi gli Usa, che seppure senza commentare in chiaro, hanno espresso tramite funzionari anonimi all'Abc la "delusione" per i risultati dell'incontro in Turchia. "Sarebbe sbagliato aspettarsi decisioni e progressi immediati" nei negoziati, ha commentato da parte sua il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov che guarda al bicchiere mezzo pieno di Mosca, secondo cui "il lavoro è in corso, alcuni accordi sono stati raggiunti a Istanbul, e sono importanti". E continua a escludere al momento un vertice Putin-Zelensky-Trump', "improbabile in un prossimo futuro" e possibili solo come "risultato di accordi già sviluppati a livello tecnico, a livello di esperti".

Interpellato sulla possibilità per Mosca di scendere a compromessi sulle sue richieste, Peskov ha sottolineato che "si tratta di un argomento che rientra nel processo negoziale e che non può essere reso pubblico". Ma a tradire la vera posizione di Mosca è il superfalco di Putin, Dmitry Medvedev, per il quale il memorandum russo e i negoziati "non sono necessari per una pace di compromesso", ma per una "rapida vittoria" di Mosca e "la completa distruzione del governo neonazista" di Kiev.

Con queste premesse, Kiev continua a fare pressione perché gli Stati Uniti di Donald Trump cedano finalmente a varare nuove sanzioni contro Mosca. Va in questa direzione anche il viaggio a Washington del capo dell'ufficio presidenziale ucraino Andriy Yermak, che dopo aver lasciato Istanbul ha raggiunto gli Usa per parlare con i funzionari dell'amministrazione Trump "del rafforzamento delle sanzioni contro la Russia, in particolare del disegno di legge del senatore Graham". La proposta stabilisce una tariffa del 500% sui beni importati dai paesi che acquistano petrolio, gas, uranio e altri prodotti russi, ed è pronta ad approdare al Senato Usa già questa settimana, secondo Graham. 

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