Cagliari, 27 Lug 2020 - È circa un mese da quando il famigerato bandito sardo Graziano Mesina, noto “Grazianeddu”, si è sottratto all’esecuzione dell’ultima condanna, a 30 anni di reclusione, per associazione per delinquere e traffico di stupefacenti internazionale (forse nessuno in Italia ha subito una condanna esemplare così severa, per quei titoli di reato).
Il bandito, ormai a fine carriera, probabilmente aveva pianificato da tempo l’ennesima fuga: questa è l’undicesima su venti tentate.
Mesina è l’ultimo dei “balentes” come l’ultimo dei Moicani, rappresentante celeberrimo di una figura romantica di bandito, che molte poesie in limba equiparano e traducono col termine” gigante”.
Prototipo di fuorilegge forgiato all’ “università del Supramonte” che iniziò la carriera per vendicare un’offesa applicando “il codice barbaricino” consuetudine plurimillenaria sarda, magistralmente raccolta e commentata da Antonio Pigliaru, nell’omonimo libro.
Grazianeddu è una figura popolare in Sardegna, basti pensare che, molti anni orsono, quando aveva deciso di “arrendersi” e consegnarsi alla giustizia, il mezzo che lo trasportava, con adeguata scorta, attraversava i centri della Barbagia fra ali di cittadini, fra cui moltissimi giovani, che lo applaudivano sinceramente e calorosamente.
Perché lui rappresentava quello che Michelagelo Pira chiamava “la rivolta dell’oggetto”, simbolo del Sardo ribelle, contro il malgoverno dello stato Italiano, prodotto dallo scontro fra due ordinamenti giuridici: il diritto positivo dello stato e le consuetudini barbaricine; un ordinamento scritto contro una consuetudine che si tramanda oralmente; le leggi di uno stato percepito come distante, distratto, ostile contro il diritto proprio della comunità pastorale che, si badi, non può essere ridotto alla vendetta ma, contempla una solidarietà, più efficace rispetto a quella di cui all’art.2 della costituzione: se un pastore perdeva il proprio gregge tutti i colleghi gli regalavano una o due pecore così lui, immediatamente, poteva continuare a lavorare; o nell’ambito del diritto successorio: chiunque, ancorché non parente, accoglieva e accudiva un vecchio malato a casa propria, automaticamente ne diveniva erede universale , senza opposizione alcuna da parte degli eredi legittimi, ancora la fedeltà alla parola data ( virtù tipica dei sardi) ed, infine, il rispetto per le categorie deboli, soprattutto donne e bambini.
A quest’ultimo principio Grazianeddu si mantenne sempre fedele: lui non rapì mai appartenenti a codeste categorie, perché “l’innocente non deve piangere mai” (ho tradotto letteralmente dal sardo- nuorese.)
Tuttavia ritengo che ci sia stato un difetto di prevenzione, posto che era quasi impossibile che la Corte di Cassazione avrebbe annullato la sentenza di condanna, visti i precedenti in materia di fughe ed evasioni del noto fuorilegge, sarebbe bastato che, almeno qualche giorno prima della sentenza, Orgosolo ed il suo circondario, fossero stati presidiati dalle forze di polizia e dell’esercito, col medesimo zelo ed esagerato spiegamento di mezzi (elicotteri, droni etc) che invece si è utilizzato in tutto il paese per elevare severe sanzioni pecuniarie a poveri pensionati incensurati, che volevano trascorrere qualche ora all’aria aperta, durante il “lockdown”, probabilmente Grazianeddu non avrebbe avuto l’ultima, clamorosa, occasione di infliggere un pesante e beffardo scacco matto, allo stato italiano ed alla sua “ giustizia”. A.B.
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