Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso della sua deposizione non si è sottratto a nessuna delle domande che gli sono state poste dai Pm e dal difensore di Totò Riina, l'avvocato Luca Cianferoni. Ha risposto a tutti i quesiti "con la massima trasparenza e serenità", sottolinea una nota del Quirinale.
Anzi, in un paio di occasioni sembra che abbia chiesto al presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, di poter rispondere anche a quesiti che la Corte non aveva ritenuto ammissibili. "Presidente, se lei permette voglio accontentare l'avvocato", avrebbe detto Napolitano.
Si è conclusa dopo tre ore la deposizione al Quirinale del Capo dello Stato nel processo per la trattativa Stato-mafia, e comunque - chiarisce un legale - "la parola trattativa non è mai stata usata". Due i principali punti di interesse per la Corte: la lettera del consigliere giuridico Loris D'Ambrosio e l'allarme del Sismi del '93 sui rischi attentati.
Nella testimonianza, raccolta a porte chiuse, il presidente ha riferito di non essere stato mai "minimamente turbato" delle notizie su presunti attentati alla sua persona nel 1993. Questo "perché faceva parte del suo ruolo istituzionale", ha spiegato l'avvocato Nicoletta Piergentili della difesa di Nicola Mancino. Il Presidente avrebbe inoltre precisato di non aver mai saputo della lettera inviata nel 1993 al suo predecessore Oscar Luigi Scalfaro dai familiari di alcuni detenuti, in forma anonima.
Roberto D'Agostino, legale di Massimo Ciancimino, ha riferito che "tendenzialmente il presidente ha risposto a tutte le domande, solo in alcuni momenti, in particolare quando gli è stato chiesto della lettera di D'Ambrosio, lo ha fatto in modo laconico evidenziando i limiti dati dal suo diritto alla riservatezza nelle conversazioni con i suoi collaboratori".
econdo D'Agostino la testimonianza del presidente "è stata utilissima perché ha riferito di una effettiva presa di coscienza dei vertici istituzionali che, davanti alle stragi, ebbero la sensazione che ci fosse un attacco della mafia allo Stato, che è poi il presupposto di chi sostiene ci sia stata una trattativa".
Durante la deposizione non è stata mai posta in modo diretto al Presidente la domanda se fosse a conoscenza di accordi tra esponenti delle istituzioni e mafiosi. Riferimenti a questo sono stati contenuti nelle domande sulla lettera di D'Ambrosio. Napolitano ha affermato che il consigliere non gli chiarì mai a cosa si riferisse con l'espressione "indicibili accordi" da lui usata nella lettera.
Ad un certo punto dell'udienza scherzando, Napolitano ha risposto ad alcune domande dei pm, che, secondo il Presidente della Repubblica, si allontanavano dall'alveo originario della sua testimonianza, dicendo: "Pensate che abbia la memoria di Pico della Mirandola?".
Napolitano, ha detto, inoltre, di non aver mai conosciuto due degli ufficiali dei carabinieri che sono tra gli imputati, i generali Mario Mori e Antonio Subranni. "Li ho solo visti in occasione di cerimonie ufficiali", ha affermato durante la deposizione. Deposizione che - ha aggiunto il procuratore di Palermo - "ha confermato l'utilità della sua citazione".
Trattativa Stato-mafia, al Quirinale la deposizione davanti ai Pm di Palermo di Napolitano
Quirinale blindato per la testimonianza del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel processo sulla presunta "trattativa" tra Stato e mafia nel biennio '92-'94. La Corte d'Assise di Palermo, i pubblici ministeri e i legali di imputati e parti civili sono entrati nel palazzo per l'audizione, in programma alle 10.
Il processo di Palermo mira a dare un nome e un volto ai responsabili di uno dei periodi più neri della storia della Repubblica italiana. Al Capo dello Stato saranno poste domande su quanto sia a conoscenza di eventi relativi alla caldissima estate del 1993: se, in pieno clima stragista, egli sia stato a conoscenza, e dunque sottoposto a maggior tutela, di un possibile specifico progetto d'attentato di tipo mafioso nei suoi confronti. Sotto i riflettori anche la lettera del luglio 2012 del giurista Loris D'Ambrosio (morto un mese dopo stroncato da un infarto), in cui il consigliere giuridico del Quirinale confessava di temere di essere stato "strumento di indicibili accordi".
La deposizione di Napolitano rappresenta il momento d'incontro, il faccia a faccia, tra due istituzioni, la Presidenza della Repubblica e la Procura di Palermo, tra le quali negli ultimi anni si è assistito a duri momenti di "frizione", cominciati con l'intercettazione da parte dei magistrati palermitani delle telefonate tra il presidente della Repubblica e Nicola Mancino, successivamente distrutte, in cui l'ex ministro dell'Interno chiedeva al capo dello Stato l'intercessione per un eventuale "coordinamento" tra le procure di Palermo, Firenze e Caltanissetta che indagavano sulla trattativa. O ancora il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale contro la Procura di Palermo.
L'udienza è blindata. A nessuno è consentito di entrare con apparecchi cellulari, computer e più in generale strumenti di registrazione. La deposizione, comunque, verrà registrata e trascritta per essere messa a disposizione della Corte.





