Il caso di cui si è occupata la seconda sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 13208 del 28.05.2013 riguardava la mancata cancellazione da parte del venditore di una ipoteca su un immobile oggetto di compravendita nonché l’omessa informazione dell’esistenza di un’ulteriore ipoteca a garanzia dei crediti condominiali. In particolare, la mancata estinzione della prima aveva compromesso al promissario acquirente la possibilità di ottenere il mutuo bancario necessario per saldare il prezzo dell’acquisto. L’appartamento, inoltre, presentava irregolarità urbanistiche e necessitava di lavori significativi riguardanti l’impianto di riscaldamento e del gas di cucina.
Nella suddetta pronuncia la Corte ha riformato la decisione assunta in appello, accogliendo il ricorso presentato dal promittente acquirente con il quale egli domandava la risoluzione del preliminare di vendita per inadempimento contrattuale del promittente venditore e il risarcimento del danno.
Il principio molto importante che la Suprema Corte ha elaborato riprende un orientamento giurisprudenziale precedente con cui veniva riconosciuta all’acquirente la facoltà di agire in via principale per la risoluzione del contratto preliminare, senza dover prima richiedere al giudice la fissazione di un termine entro il quale il venditore dovrebbe liberare l’immobile dalla garanzia ipotecaria.
L’esistenza di una garanzia reale non dichiarata dal venditore, infatti, può legittimare l’acquirente sia a sospendere il pagamento del prezzo che a domandare la risoluzione del contratto senza essere obbligato a chiedere al giudice il suddetto termine per la cancellazione. In ogni caso è legittimo il rifiuto dell’acquirente di stipulare il contratto definitivo.
Inoltre, in forza del principio della buona fede contrattuale in senso oggettivo ai sensi dell’art. 1337 del codice civile che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede fin dal momento delle trattative e della formazione del contratto, la mancata comunicazione dell’esistenza di un vincolo reale sul bene oggetto di futura vendita rappresenta una condotta lesiva del principio anzidetto. E dunque è idonea a viziare la volontà negoziale del promittente acquirente, legittimando la sua richiesta di risoluzione del contratto preliminare ai sensi dell’art. 1489 del codice civile (norma ritenuta applicabile anche al contratto preliminare).
Per di più nel caso di specie era inserita nel contratto un’espressa clausola negoziale nella quale si prevedeva che la parte venditrice avrebbe dovuto cooperare per il pagamento costituendosi quale terza datrice di ipoteca ai fini della concessione del mutuo bancario. Ed è evidente, sostiene la Corte, che la presenza della preesistente ipoteca impediva tanto la dazione di ipoteca quanto la contrazione del mutuo. CS.