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Processo sulla trattattiva stato-mafia: tutto rinviato al 31 maggio

Nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, al via il processo sulla "trattativa" tra lo Stato e la mafia. Sia i pm che i difensori degli imputati, hanno chiesto un termine per interloquire sulle nuove richieste di costituzione di parte civile presentate oggi. La corte d'assise ha rinviato il processo al 31 maggio

Oggi, nella prima udienza del processo, hanno chiesto alla Corte di costituirsi parte civile la Regione Toscana, il Comune di Firenze, l'associazione Vittime dei Goergofili e altre associazioni antimafia toscane, l'associazione Addiopizzo di Palermo, l'associazione Giuristi democratici, l'associazione Libera di don Luigi Ciotti, Salvatore Borsellino a titolo personale (è già presente col movimento delle Agende rosse), i familiari dell'eurodeputato della Dc Salvo Lima, ucciso dalla mafia nel 1992, e dal Comune di Palermo nei confronti di Nicola Manino, unico imputato riguardo al quale l'amministrazione non era stata ammessa dal Gup.

Striscioni, o meglio lenzuola, del movimento Agende rosse e di "Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino" campeggiano sulle inferriate gialle che guardano l'aula bunker del carcere di Pagliarelli a Palermo. "Lo stato deviato non fermerà la verità", hanno scritto le Agende rosse, il cui leader, Salvatore Borsellino, fratello del magistrato ucciso nella strage di via D'Amelio, è già arrivato nell'aula.

La Corte d'Assise è chiamata a giudicare i dieci imputati, tra mafiosi, politici ed ufficiali dell'Arma, che secondo l'accusa, vent'anni fa si sedettero intorno allo stesso tavolo per concordare una strategia di distensione che portasse alla fine del periodo stragista che tra il '92 e il '93 aveva insanguinato l'Italia.

Alla sbarra i capimafia Totò Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino, gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, l'ex senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino.

Nicola Mancino,  attraverso la sua difesa, ha fatto sapere che chiederà alla Corte d'assise di Palermo di stralciare la sua posizione. "Non posso stare in uno stesso processo con la mafia", ha detto stizzito.

Tranne che per l'ex presidente del Senato, accusato di falsa testimonianza, e per Massimo Ciancimino, teste dell'accusa accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia, gli altri imputati sono chiamati a rispondere di violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l'aggravante d'aver favorito Cosa nostra.

Ha scelto invece il rito abbreviato un altro imputato eccellente: l'ex ministro democristiano Calogero Mannino.

Dal processo è stata stralciata invece la posizione di Provenzano, il quale è stato ritenuto incapace di intendere e di seguire coscientemente il processo. La sua posizione pende ancora davanti al gup.

A sostenere l'accusa saranno il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.

Tra i 178 testimoni citati dalla Procura, ci sono il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso.

A Palermo al via il processo sulla trattattiva stato-mafia: a giudizio politici, mafiosi ed ufficiali dell'Arma

Si aprirà stamani nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo, il processo sulla "trattativa" tra lo Stato e la mafia.

La Corte d'Assise sarà chiamata a giudicare i dieci imputati, tra mafiosi, politici ed ufficiali dell'Arma, che secondo l'accusa, vent'anni fa si sedettero intorno allo stesso tavolo per concordare una strategia di distensione che portasse alla fine del periodo stragista che tra il '92 e il '93 aveva insanguinato l'Italia.

Alla sbarra ci saranno i capimafia Totò Riina, Antonino Cinà, Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca; il figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Massimo Ciancimino, gli ex ufficiali del Ros dei Carabinieri, Antonio Subranni, Mario Mori e Giuseppe De Donno, l'ex senatore del Pdl Marcello Dell'Utri e l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino.

Tranne che per l'ex presidente del Senato, accusato di falsa testimonianza, e per Massimo Ciancimino, teste dell'accusa accusato di concorso esterno in associazione mafiosa e calunnia, gli altri imputati sono chiamati a rispondere di violenza o minaccia al corpo politico dello Stato, con l'aggravante d'aver favorito Cosa nostra. Ha scelto invece il rito abbreviato un altro imputato eccellente: l'ex ministro democristiano Calogero Mannino, che ha optato per il rito abbreviato.

 Dal processo è stata stralciata invece la posizione di Provenzano, il quale è stato ritenuto incapace di intendere e di seguire coscientemente il processo. La sua posizione pende ancora davanti al gup.

A sostenere l'accusa saranno il procuratore aggiunto Vittorio Teresi e i pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.

Tra i 178 testimoni citati dalla Procura, ci sono il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Senato Piero Grasso.

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