"Chiamatelo come volete: governo di minoranza, governo di scopo, non mi interessa. Mercoledì prossimo lo proporrò in direzione, poi al Capo dello Stato: io lo chiamo un governo del cambiamento". Pier Luigi Bersani prova a rilanciare. Dopo un voto che ha visto il Pd 'primo ma non vincitore', la sfida è incalzare il Movimento 5 Stelle sul programma, per vedere fino a dove Grillo può opporre un 'no' a tutto e a tutti tenendo fuori il suo 25% di voti da alleanze e richieste di voto di fiducia.
E' un Governo, dice subito Bersani a La Repubblica, "che mi assumo la responsabilità di guidare, che propone sette o otto punti qualificanti e che chiede in Parlamento la fiducia a chi ci sta"
"I suoi insulti non mi spaventano", dice Bersani, che apre all' ipotesi di offrire le alte cariche dello Stato a M5S e Pdl ("sui ruoli istituzionali siamo pronti a esaminare tutti gli scenari") ma chiude definitivamente la porta a qualunque "governissimo" con Berlusconi ("ora basta, di occasioni per dimostrarsi responsabile ne ha avute e le ha sprecate tutte").
Il leader del Pd ritiene "innegabile che la necessità di non rompere con Monti ci ha condizionato. E in questo condizionamento qualcosa abbiamo pagato". "Si può dire che non siamo riusciti ad evitare che il fenomeno del voto del disagio e della protesta ci venisse in casa. Ma non mi si venga a dire che non avevamo visto il pericolo. Se non l'avessi visto non avrei fatto le primarie, mettendomi in gioco".
"Le ragioni che spiegano la novità del voto - afferma ancora Bersani - le ho indicate più volte e ora devo solo rafforzarle. Negli ultimi due anni la riduzione di Pil e la distruzione di valore aggiunto e posti di lavoro è comparabile solo con quello che è successo dopo l'ultima Guerra Mondiale. Di fronte a questo dramma la politica è apparsa impotente o immorale.
Chiedersi "quanto ci costa un parlamentare" è l'altra faccia del chiedersi "a che serve un parlamentare". La democrazia rappresentativa ha dimostrato di non padroneggiare l'avvitamento in atto tra austerità e recessione".